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Metamorfosi

Archivio > Dicembre 2009 > Protezione civile e volontariato

C.I.P. n. 9 - PROTEZIONE CIVILE E VOLONTARIATO
METAMORFOSI
COME UN BRUCO DIVENTA FARFALLA
Majoli Maria Susanna
Socio Associazione "Pagaie Rosa"

23 maggio. Mezzogiorno. Mi crolla il mondo addosso. Un macigno sulla testa, una bomba nel cuore, un terremoto nell’anima. Soffoco. Sono distrutta. Il mio mondo è crollato.
Io sono solo un rudere, la mia vita un cumulo di macerie.
"Signora, le abbiamo diagnosticato un piccolo tumore al seno. Annulli ogni suo impegno.
La operiamo tra 15 giorni." Seduta di fronte ad una splendida dottoressa, non capisco, non accetto, non ci voglio credere. No, è troppo per me, con tutto ciò che ho passato negli ultimi anni, dopo tutte le difficoltà di vita che ho dovuto superare con tanta fatica e coraggio, non è possibile che mi succeda anche questo, non a me, è troppo, io non ce la faccio ad affrontare anche questo.
Sgorgano abbondanti le lacrime, i singhiozzi scaturiscono profondi dal cuore. Lei mi guarda con compassione, mi prende le mani nelle sue, aspetta con pazienza che io accusi lo choc, che la scossa si attenui, che ritrovi una parvenza di stabilità.
"Stia tranquilla, signora. Lei è molto fortunata perché il suo tumore è piccolo. Le faremo una quadrantectomia, le toglieremo poco più di un quadrante, poco più di un quarto della mammella sinistra, farà tutte le cure necessarie e tutto tornerà a posto, si fidi".
"Lei non capisce, dottoressa. Io non posso. Sono sola con tre figlie a casa e una fuori, all’estero.
La più piccola deve dare l’esame di terza media tra 15 giorni, e io non posso smettere di lavorare. Se non lavoro non si mangia. Faccio un lavoro autonomo, se non lavoro non guadagno. Come faccio? Ora non posso. Non se ne parla. No!" Il rifiuto. Rifiuto totale.
"Signora, la sua salute viene prima di qualsiasi altra cosa. Non ha scelta, non ci sono alternative".
Mi guarda dritta negli occhi. Sento che capisce, che compatisce. Ma è decisa, sicura, forte nella sua professionalità, concreta nella sua bellezza. Non considera alternative. Non tollera vie di scampo.
E’ così e mi devo piegare. Mi lascia il suo numero di telefono per qualsiasi domanda, dubbio, chiarimento, insistendo sulla sua disponibilità. Una porta spalancata nella quale mi infilerò come in un salvagente lanciato in mare ad un naufrago che sta annegando. Nei giorni seguenti la subisserò di fax e telefonate con mille domande, mille angosce. La rivedrò qualche giorno dopo per l’ago aspirato. La diagnosi viene confermata. Ma io la rifiuto ancora, tassativamente. Si sono sbagliati,
ci dev’essere un errore, sì, sono sicura che non ho niente, non ce l’ho questo tumore, non sento niente, è sicuramente un errore. Allora, di nascosto, vado in un centro medico privato per rifare l’ago aspirato, tanto sono convinta che si tratti di un errore. Purtroppo la conferma è inequivocabile.
La diagnosi è sicura al 100%. Come un animale in trappola, capisco allora che non ho alternative. Con il proprio corpo non si scherza. Proprio perché sono madre, non mi posso permettere di correre dei rischi e mettere in gioco la mia vita. Le mie figlie sono giovani, nel pieno della crescita, hanno ancora bisogno di me, della mia guida, non posso lasciarmi morire così presto. L’unica è mettermi nelle mani di questi medici e affidarmi alle loro competenze, con fiducia, con speranza.
Tutto allora si svolge velocissimamente. Una visita dopo l’altra, un esame dopo l’altro, l’equipe di senologia, quella di chirurgia plastica, perché, grazie al cielo, avendo dei seni abbondanti, mi propongono una riduzione e ricostruzione di entrambi in modo che siano uguali e simmetrici.
Vieni assorbita in questo vortice che non ti lascia il tempo di respirare, di assimilare ciò che ti sta succedendo. Segui scrupolosamente la lista di impegni e di appuntamenti che ti vengono fissati e lasci che siano i medici a prendere in mano la situazione.
Tu non ci sei. Sei distrutta. Sei nascosta dietro al tuo dolore, al tuo senso di ingiustizia.
Non è giusto. Non è giusto che capiti proprio a te!
Poi maturi. A poco a poco. Lentamente. Durante quelle ore, quelle giornate passate pazientemente ad aspettare le tue visite in ospedale, nelle sale di attesa, osservi, ti guardi intorno e vedi così tanto dolore, così tanta sofferenza. Persone di ogni età, anche molto più giovani di te, che stanno male, che sono ridotte pelle e ossa, che stanno facendo la chemio e hanno perso tutti i capelli e hanno un fazzoletto o una parrucca in testa. Quanta miseria! Quanta sofferenza! Li osservi, per ore e ore, e
hai le lacrime agli occhi, con empatia, con compassione, senti un poco del loro dolore.
E allora cresci, finalmente inizi a risvegliarti da quel coma psicologico nel quale eri caduta, e a renderti conto che è vero, hanno ragione i medici quando dicono che sei stata fortunata perché ti è stato diagnosticato presto questo tumore, in una mammografia di controllo, che è come se avessi vinto alla lotteria.
Poi ti fai coraggio. Avevi tenuto tutto nascosto ma ora non puoi più. Ti operano tra pochi giorni. Devi trovare il coraggio, la forza per dirlo a casa, alle figlie, alla famiglia che vive lontano da te.
Le parole emergono spontanee. Per tutti loro è uno choc. Ma tu sei già più in là, oltre, assorbita nel vortice dei preparativi dell’intervento.
Sul lavoro, ti fai sostituire, con la delusione della consapevolezza che nessuno è indispensabile e che in fin dei conti è facile trovare un collega ben contento di prendere il tuo posto. Decidi però di non spiegare il perché, il mercato del lavoro è una giungla dove ci vuole ben poco a farsi tagliare fuori, a venire scartati perché poco efficienti. Non voglio che si sappia. Non voglio che nessuno se ne accorga. Non voglio perdere il mio lavoro. Per fortuna l’intervento si svolgerà ai primi di giugno, poi c’è l’estate e tradizionalmente non si lavora d’estate perché non ci sono congressi. Ho qualche mese davanti a me per riprendermi.
E’ passato un anno. Sto bene, anzi benissimo. Sono appena tornata dalle vacanze al mare, sono tutta abbronzata. Anche in costume non si vede, nessuno si è accorto di niente. Benedico ogni giorno i chirurghi per lo splendido lavoro che mi hanno fatto.
Certo, prima l’intervento, poi le cure, è stato un processo molto doloroso, difficile, sofferto, che mi ha segnata profondamente, ma che soprattutto mi ha trasformata profondamente.
Ho ridefinito le mie priorità di vita. Ora solo l’essenziale conta, a tutto il resto non do più peso. Tutte le piccole cose che tanto mi stressavano prima, ora mi lasciano indifferente. Ora l’unica cosa che conta è stare bene, con me stessa e con gli altri e assaporare ogni istante della vita, godendo di ciò che è bello, con semplicità, con autenticità.
Non mi vergogno del tumore che ho avuto. Ho capito che ogni tumore è il risultato di un conflitto,
è una condensazione della sofferenza, un concentrato di dolore. Il tumore al seno è il semplice risultato della mia incapacità di vivere la mia femminilità, il mio amore come donna e madre.
Non solo non me ne vergogno e non lo vivo come un tabù, ma anzi desidero testimoniare con la mia esperienza, dire ad alta voce che tutto si supera e che anche questa prova la si riesce ad affrontare, un passo dopo l’altro, una piccola tappa dopo l’altra, con l’aiuto di chi ci sta intorno, personale medico, familiari, amici. Non siamo soli, assolutamente no.
Non bisogna mai guardare la montagna che ci sta davanti e che ci sembra insormontabile.
Bisogna invece fare un passo dopo l’altro, a testa alta, con coraggio, con forza, con tenacia,
con fiducia. Ogni prova che ci si presenta è all’altezza della nostra capacità di superarla.
In questo mio percorso, ho incontrato un gruppo di donne eccezionali, le Donne in Rosa, le
Pink Butterfly, che pagaiano in barche chiamate Dragon Boat per dimostrare a tutti senza riserve che anche dopo un tumore al seno si può essere sportive e usare intensamente gli arti superiori,
e che la vita può essere ancora vissuta con grinta ed ottimismo. Con spirito di squadra, di grande apertura e solidarietà, sono uno splendido esempio di come si possa uscire più forti e più mature da una prova così difficile e dolorosa.
Come il bruco diventa una farfalla, così le difficoltà della vita diventano occasione di crescita,
di evoluzione, di metamorfosi. Anche il tumore al seno è allora un trampolino per saltare più in alto, per diventare migliore.


 
 
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