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C.I.P. n. 2 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE
LE NUOVE EMERGENZE - Uno sguardo alle comunità traumatizzate
Quali sono gli aspetti che maggiormente caratterizzano le reazioni ad un trauma? Analisi e riflessioni sugli elementi che una comunità utilizza nell’affrontare un evento traumatico
Vania Venanzi , Ilaria Ripi
(Psicologhe, Consigliere Psic-ar)
Se chiedessimo a persone diverse (per cultura, estrazione sociale, livello economico ecc.) di farci un esempio di emergenza, possiamo immaginare, senza rischiare di essere troppo presuntuosi, che forniranno degli esempi molto simili, riferiti per lo più ad eventi calamitosi, oppure ad eventi la cui causa è un fattore umano: diranno ad esempio che un'emergenza è un'alluvione, un terremoto, un grande incendio, l'eccessivo caldo estivo, la siccità, oppure ancora un attentato terroristico, un grande incidente che coinvolga mezzi di trasporto vari. Potremmo elencare una quantità di simili eventi, piccoli e grandi, prevedibili e non, controllabili o meno.
Accanto a queste, dalle indubbie conseguenze traumatiche, esistono però delle emergenze meno identificabili in modo macroscopico, meno,diciamo così, "percepibili ad occhio nudo".
Lungi dal voler creare allarmismi o sensazionalismi, e dal voler etichettare come emergenza ciò che emergenza non è, vorremmo rivolgere l'attenzione a quelle situazioni in cui l'emergenza riguarda un evento che condiziona fortemente la vita di una intera comunità. Sappiamo che ogni individuo è inscritto all'interno di un contesto che ne condiziona spesso il modo di vivere sotto tanti aspetti: i nostri atteggiamenti valoriali, le nostre aspettative, il nostro stile di vita sono influenzati più di quanto pensiamo dal luogo in cui viviamo. Numerosi studi dimostrano come il senso di appartenenza ad una comunità sia un fattore di grande rilevanza nella vita di un individuo. Che una comunità sia formata da numerose individualità è ovvio, ma vogliamo sottolinearlo prendendo in considerazione quei contesti che si trovano ad avere a che fare con eventi che non sono di per sé calamitosi, ma che possono generare uno stato che può essere ben definito di emergenza. Pensiamo ad esempio alle città che sono colpite da un'emergenza di tipo ambientale. L'attualità italiana ne è purtroppo spesso piena: è sufficiente, senza andare troppo in là nel tempo, pensare agli avvenimenti che hanno coinvolto (e tuttora coinvolgono) la Val di Susa e la linea ferroviaria ad alta velocità, il problema dei rifiuti a Napoli e in gran parte della Campania, la reazione delle comunità di Aprilia e Termoli all'installazione della centrale turbogas. Questo soltanto per citare le emergenze strettamente di tipo ambientale. Ci sono, poi, centri sconvolti da eventi traumatici come omicidi, oppure ancora da gravi fatti di abusi come nel recente "caso" di Rignano Flaminio.
Non è su queste pagine che si possono trarre conclusioni riguardo tali avvenimenti. Questi, però, spingono ad una riflessione: in che modo una comunità li vive e li affronta? Cosa succede ad un centro che all'improvviso deve fare i conti con una realtà nuova ed una nuova immagine di sé? In breve: come cambia una comunità che si trova a fronteggiare un’emergenza?
Dalla cronaca si evincono principalmente due tipi di reazione, di segno opposto: una riscoperta del senso di comunità e del potere del gruppo contro una disgregazione ed un impoverimento sociale. Ci siamo chiesti cosa possa determinare due espressioni così diverse della percezione di un problema. Cosa permette ad una comunità di rimanere coesa di fronte ad un evento critico? Dipende dal tipo di evento o dal tipo di organizzazione sociale preesistente?
Pur sapendo di non poter esaurire delle domande così ampie in un breve articolo, abbiamo considerato come un elemento utile all’analisi di queste reazioni possa essere la definizione stessa di evento critico.
Un fattore che caratterizza e definisce fortemente un evento è il tempo: in che punto della sequenza temporale ci troviamo? Esiste l’effettiva possibilità di poter cambiare, arrestare l’evento o questo è gia accaduto? Se un evento critico si è già verificato la prospettiva di evitarlo naturalmente viene meno, si può solo cercare di limitare i danni e si possono attivare risorse affinché questo non si ripresenti;se invece un evento è solo preannunciato si ha la possibilità di organizzare rimedi e interventi per tentare di cambiarne il corso. In entrambi i casi la comunità si attiverà a seconda della sua coesione e organizzazione interna e a seconda del grado di controllo e potere che sentirà di avere su quanto accade.
L’evento critico si differenzia inoltre in base alla sua natura: quanto è prevedibile e quindi evitabile? Questo aspetto è particolarmente importante ai fini della spiegazione che la comunità si dà dell'evento: trovarsi di fronte a qualcosa che non si poteva prevedere può generare maggiori paure, maggiore senso di impotenza e a volte di disperazione, ma sul versante opposto, constatare la prevedibilità di quanto è accaduto, seppure permette di mettere a punto misure preventive in futuro, costringe necessariamente a fare i conti con la colpa, con la rabbia, con la sfiducia.
La scala di valori che viene maggiormente coinvolta è un altro aspetto da non trascurare:quanto è importante l’evento per la comunità? Quale categoria di persone è coinvolta? L’evento dannoso può, a seconda della sua natura, coinvolgere dal singolo fino all’intera comunità. Danni a cose e/o a persone hanno un valore diverso, naturalmente la percezione di gravità dell’evento sarà maggiore se interesserà un numero elevato di persone. Non dimentichiamo infatti che uno dei compiti principali della comunità è quello della difesa dei suoi membri ed in particolare dei bambini, dato il grande valore che questi assumono per la sopravvivenza e lo sviluppo della comunità stessa. Più l’elemento a rischio è percepito come importante, più si cercherà di proteggerlo; se però l’evento critico ha già compromesso l’elemento di valore, allora la comunità avrà fallito il suo ruolo protettivo. Probabile conseguenza è un vissuto di colpa per non aver fatto tutto il possibile, o per non aver saputo prevedere, e ciò può far diventare iperprotettivi verso alcuni membri, o eccessivamente guardinghi, diffidenti, sospettosi verso altri.
Importante a questo punto sarà il tipo di spiegazione che dell’evento si riuscirà a dare. La ricerca di senso spingerà la comunità all’individuazione delle cause e all’identificazione di un colpevole e inoltre attiverà la ricerca di strategie efficaci al fronteggiamento dell’evento critico e al superamento dello stesso.
L’individuazione della causa condizionerà fortemente il modo che la comunità avrà di organizzarsi, comporterà reazioni diverse e rapporti diversi con le altre comunità.
Il "nemico" può essere definito come esterno o interno alla comunità. Quando questo viene percepito come esterno si permette una differenziazione ed una definizione del gruppo in base ad un modello di contrapposizione rispetto a qualcosa di "negativo". In questo tipo di rappresentazione la comunità afferma sempre con maggior forza la sua identità "positiva", proteggendosi fortemente dalle forme di cambiamento viste come negative, e si organizza nel difendere i propri valori. Valori che proprio grazie ad un nemico condiviso trovano il modo di esplicitarsi in forme prima spontanee e poi strutturate di scambio. Ci si trova di fronte ad un risveglio delle coscienze dei singoli che si incontrano nella comunità: nasce così la consapevolezza che il gruppo attivo ha il potere di cambiare ciò che pochi altri hanno deciso. E' quello che succede, ad esempio, nella comunità di Aprilia.
Cosa avviene invece se la causa dell’evento critico è percepita come interna alla comunità? Innanzitutto si cercherà di tenere "segreto" il più possibile l'evento che, una volta reso pubblico, attiverà principalmente due tipi di difesa: la negazione dell’evento stesso, se possibile, e una "caccia alle streghe", nel tentativo di estirpare al più presto la minaccia. Le reazioni tipiche alla paura, l’attacco e la fuga, vengono applicate su larga scala nella comunità che, paralizzata, perde razionalità e si attiva in maniera disorganizzata in due fazioni: gli increduli ("non credo che sia colpevole") e i giustizieri. In questo caso è impossibile una coesione intorno a valori positivi, l’evento critico mette in dubbio i valori intorno dell’intera comunità. Si attiva una sfiducia nel prossimo e nei cittadini stessi, la mancanza di certezze e di un nemico definito portano alla colpevolizzazione generale, al sospetto e pertanto alla perdita di coesione. Colpevolisti ed innocentisti sono facce di una comunità dall’identità divisa, senza potere, alla ricerca di ripristinare un ordine sconvolto. Una comunità che reagisce in questo modo ad un evento critico sente di non avere controllo sugli eventi, è impotente e passiva. In questa situazione, molto diversa da quella in cui la società riconosce il fattore critico al suo esterno, si assiste alla difficoltà di dare un senso all’accaduto, la comunità si chiude all’esterno e si disgrega al suo interno.
La chiusura all’esterno è in parte dovuta all’effetto dei media che, come nel "caso di Rignano Flaminio", hanno individuato nell’intera comunità il "colpevole" (pochi conoscono il nome della scuola o dei personaggi coinvolti), esponendola a critiche senza tener conto delle difficoltà che si è trovata a gestire incredula e traumatizzata. Il modo in cui le vicende vengono raccontate ha un peso molto forte nella ricerca di senso sull’accaduto o su ciò che deve avvenire, può innescare la simpatia o l’antipatia delle comunità vicine, la solidarietà e la condivisione di intenti, come può attivare lo scostamento e la critica più acerba. Anche questi elementi avranno a loro volta un peso sulla capacità di una reazione efficace della comunità, che essendo chiamata a rispondere ad un evento critico si potrà sentire appoggiata anziché stigmatizzata.
Un ulteriore livello di analisi è rappresentato dalla struttura di comunità di partenza: grandi e piccole comunità hanno capacità di reazione diverse. I piccoli centri di solito sono caratterizzati da rapporti più stretti tra i membri che ne fanno parte, il senso di comunità e appartenenza è normalmente più forte rispetto alla metropoli, nella quale confluiscono realtà diverse, i rapporti sociali sono limitati ad un numero inferiore di persone e sono spesso evidenti i casi di isolamento sociale e abbandono. Nei piccoli centri il ruolo di assistenza sociale e di protezione delle fasce deboli e del territorio della comunità è affidato direttamente ai membri della stessa che attivamente si adoperano, vigilano e collaborano nell’integrazione, nella progettazione e nell’accudimento, pertanto il senso di responsabilità è meno scaricabile su delle istituzioni impersonali. Al contrario la metropoli, più frammentaria e indifferente, favorisce la depersonalizzazione delle colpe al costo di un maggior isolamento individuale.
Gli elementi considerati non vogliono essere tanto una griglia di lettura del fenomeno descritto (il quale è di ben più ampia portata), quanto piuttosto degli spunti su cui avviare non solo riflessioni ma anche indagini più specifiche, al fine di individuare quegli elementi su cui poter impostare un intervento che coinvolga l'intera cornice sociale di un fatto traumatico.
Intendiamo porre l'accento su una questione che facilmente può rimanere ai margini di un intervento, oppure può non esserne toccata affatto. Crediamo giusto sottolineare come molte situazioni scatenino nell'intera comunità che le vive un'emergenza, intendendo questo termine non con un'accezione catastrofica, ma semplicemente come un problema che appunto "emerge" in un dato momento per un certo motivo. La nostra intenzione è quella di sensibilizzare ad occuparsi delle reazioni che si scatenano in una società in risposta ad un avvenimento drammatico, poiché sappiamo che non è di secondaria importanza il modo in cui si vive l'ambiente in cui si è inseriti. Troppo spesso si sottovaluta il profondo cambiamento che una persona si trova ad affrontare dopo che un evento traumatico ha colpito il suo ambiente, destabilizzando il suo rapporto con questo, l'immagine che ha di esso e del suo modo di viversi al suo interno. Adattarsi a un cambiamento così grande è possibile, ed è sicuramente facilitato da un intervento di tipo psicologico che si occupi dell'intera comunità, poiché un senso di appartenenza ad una comunità è un elemento importante nella vita di ognuno, e va salvaguardato.
Sarebbe stimolante un confronto con gli altri psicologi delle emergenze per condividere queste considerazioni e aprire un dibattito sui vari aspetti dell’emergenza che colpisce una comunità. Questo confronto sarebbe utile per lo sviluppo di nuovi percorsi e per la messa a punto e l’attivazione di interventi psicologici efficaci nell’elaborare il trauma collettivo e nel ripristinare uno stato di benessere.