La strada e l’acquisizione del senso della regola in adolescenza - Conosco Imparo Prevengo

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La strada e l’acquisizione del senso della regola in adolescenza

Archivio > Agosto 2007 > Psicologia delle emergenze

C.I.P. n. 2 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE

La strada e l’acquisizione del senso della regola in  adolescenza
Educazione al rischio stradale in adolescenza
Daniele Biondo
(Psicoterapeuta dell’adolescenza  ,Vicepresidente del Centro Alfredo Rampi)

Per affrontare la questione della prevenzione degli incidenti stradali fra gli adolescenti in maniera scientifica occorre preliminarmente analizzare in maniera approfondita le cause del fenomeno.
Possiamo immaginare quanto il fenomeno degli incidenti sia complesso e quante variabili entrano in gioco (sociali, politiche, legislative, psicologiche, educative ecc.).
In questo articolo cercherò di affrontare le cause psicologiche degli incidenti in adolescenza nella prospettiva della teoria psicodinamica, che mi sembra la più adeguata per spiegare questo tipo di fenomeni. Vedremo che non tutti gli incidenti sono uguali, perché lo stesso fenomeno può avere motivazioni interne profondamente diverse e perché gli adolescenti non hanno lo stesso rischio d’incidente, visto che tale rischio cambia a seconda dell’organizzazione della loro personalità.
In base al risultato più o meno equilibrato che il ragazzo ha raggiunto nel compito di costruire se stesso, si realizza il suo rapporto con la strada (intesa come ambiente di vita) e con le regole e i codici che la governano.


La strada nella mente dell’adolescente

Quando si affronta il problema del rischio di incidente stradale in adolescenza ed in particolare ci si propone di realizzare una strategia d’intervento per la prevenzione, può essere utile chiedersi perché l’adolescente per esprimere i propri problemi sceglie la strada. Come mai la strada può diventare l’ambiente privilegiato dove certi adolescenti esprimono il proprio disagio, la propria ribellione verso il mondo degli adulti? Per rispondere a tale domanda si possono avanzare una serie di ipotesi. È mia opinione che la strada - intesa come spazio fisico e come ambiente umano - assuma nella mente dell’adolescente uno specifico significato simbolico, in relazione alla natura dei compiti e delle difficoltà evolutive che essa propone. La strada può essere funzionale o meno alle esigenze dell’adolescente, secondo il livello di preoccupazione e di attenzione degli adulti nei confronti dei suoi bisogni evolutivi. Se il ragazzo si sente inserito in un ambiente familiare e extrafamiliare (scuola, luoghi di socializzazione) che risponde ai suoi bisogni di crescita, la strada assume facilmente il ruolo di spazio in cui sperimentare la propria autonomia dalla famiglia e dal controllo degli adulti. In questo caso il ragazzo, grazie al fatto di sentire il sostegno e l’aiuto degli adulti significativi, può verificare nella strada se stesso, può cioè usare la strada per incamminarsi nella "strada della vita", per "trovare la sua strada", per "fare strada" nel mondo.
Ciò attiva la sua responsabilità individuale, la capacità di controllare e dominare l’ambiente, lo sviluppo della fiducia nel mondo extrafamiliare. La strada diventa così il luogo che l’adolescente può investire per diventare grande, un luogo carico di significati positivi ed evolutivi: il luogo in cui conquistare la giusta distanza dalla famiglia grazie all’appoggio dei coetanei. Possiamo, a questo proposito, pensare all’importanza simbolica che per il ragazzo o la ragazza assume il muretto, il bar, la piazza o la sala giochi, il cortile sotto casa, il campetto di calcio, l’oratorio, il centro di aggregazione e così via. L’esistenza di questi ambienti fisici simbolizzano, nella mente del ragazzo, la presenza fuori casa di ambienti in cui essere sostenuto ed accolto, in cui poter proporre se stesso a qualcun altro, adulto o coetaneo, che è lì per condividere la sua esperienza di vita, che è disponibile ad ascoltarlo e ad affiancarlo nella fatica di distanziare i genitori e crescere senza il loro aiuto. L’adolescente che per qualche motivo non ha a disposizione questi ambienti alternativi alla famiglia, ne utilizza altri allo stesso scopo, con l’handicap di trovare contesti spazio-temporali e relazionali al di fuori di ogni controllo sociale (nascosti da ogni sguardo adulto), meno flessibili e meno capaci di accoglierlo.
Il primoadolescente (13-14 anni) in particolare, che è al suo esordio nella vita sociale, ha bisogno di un ambiente come la strada che non sia estraneo o lontano, che sia "a portata di mano", "sotto casa", ad una distanza accettabile dalla famiglia (né troppo vicino, né troppo distante), che gli consenta di sviluppare esperienze più ampie e strutturanti di quelle che può compiere nella propria casa. Si tratta di esperienze che consentono al ragazzo di ampliare i confini delle proprie dimensioni sensoriali, oggettive, sociali, intellettive e affettive, che gli permettono di muoversi con autonomia, di conoscere ed esplorare la realtà urbana e che si contrappongono alla rappresentazione virtuale ed omologante dello spazio che viene offerta dai mezzi informatici e di comunicazione normalmente a sua disposizione. L’uso del motorino per esplorare lo spazio urbano risponde a questo tipo di bisogni evolutivi del primoadolescente. Senza l’esperienza socializzante della strada, l’adolescente rischia di restare intrappolato nell’ambiente protettivo ma infantilizzante della casa, acquisendo, di conseguenza, un analfabetismo ambientale, e cioè una deprivazione di esperienze all’aperto, che può invalidare o complicare il suo processo evolutivo. Assistiamo ormai con una certa frequenza al fenomeno di gruppi di adolescenti che si spostano da una casa all’altra senza la possibilità di incontrarsi in un territorio neutro e sufficientemente distante dalle famiglie. La strada, l’esperienza di quartiere e delle relazioni sociali ed affettive che si svolgono al suo interno, rappresentano un contributo necessario per la crescita armoniosa del primoadolescente. L’ambiente esterno è stato, invece, sottratto ai ragazzi come occasione di crescita. Restituire la strada ai giovani come ambiente naturale in cui potersi incontrare ed arricchire della dimensione sociale, rappresenta l’obiettivo principale nella proposta di un’educazione stradale che comporta un ripensamento delle città, per renderle a misura d’uomo e restituirle alla vita sociale, culturale, relazionale dei cittadini. Senza un impegno degli adulti in questa direzione, ogni richiesta ai giovani di fare un uso corretto della strada e della città risulta ipocrita e improponibile.


L’uso della strada da parte dell’adolescente problematico

In relazione a quanto detto è utile interrogarsi sull’uso personale dell’ambiente strada che fanno gli adolescenti con specifiche difficoltà evolutive correlate a carenze ambientali. Un adolescente può esprimere per strada la sua difficoltà di proseguire senza l’aiuto degli adulti i compiti dello sviluppo con un incidente con il motorino, attivando il Pronto Soccorso e forse un reparto ospedaliero come ambienti in cui essere aiutato (Biondo, 1997; Carbone, 1997, 1998, 2003). In questo caso egli esprime con un gesto autolesivo ed autoaggressivo il proprio disagio. Invece un secondo adolescente può esprimere sempre nella strada il proprio disagio, attraverso un’azione deviante o violenta. Quest’azione esprime lo stesso bisogno di essere "arrestato" espresso dal primo ragazzo con l’incidente, portato questa volta in un Tribunale attivando una figura potente che lo protegga dai suoi fantasmi persecutori e dalle relative fantasie trasgressive, attivate in lui dal suo ambiente di vita (Biondo, 1993). Nei due esempi prevalentemente l’adolescente esprime con il comportamento il suo disagio, piuttosto che con parole o sintomi psichici. Inoltre, come ho avuto già modo di sostenere (Novelletto, Biondo, Monniello, 2000) è l’adolescente a proporre all’adulto il luogo all’interno del quale farsi aiutare e soccorrere. Questo perché l’adolescente crea lui stesso le condizioni per ricevere l’aiuto di cui ha bisogno e rifiuta ciò che gli viene proposto dagli adulti. Grazie alla neoacquisita autonomia di movimento, che permette all’adolescente di svincolarsi dalle condizioni imposte dai genitori, egli propone le condizioni umane e fisiche in cui esprimere i propri conflitti e poter accettare d’incontrare l’adulto senza sentirsi troppo sottomesso. Ciò fornisce un’indicazione essenziale per l’intervento preventivo con l’adolescente che esprime il proprio disagio sociale nella strada: affinché l’incontro con un adulto che lo "aiuti" si possa realizzare, occorre farlo in un contesto ambientale in parte predisposto dall’adulto, ma in parte "creato" dall’adolescente stesso: la scuola può essere un buon ambiente per l’incontro fra adolescenti ed adulti intorno al tema della norma e dei corretti comportamenti in strada, ma a volte è troppo caratterizzata in termini normativi. Il centro di aggregazione giovanile di quartiere, invece, quando esistente, può rappresentare il contesto educativo ideale nel quale realizzare un intervento preventivo globale che non sia di tipo normativo o moralistico
Qualsiasi discorso sull’intervento preventivo con gli adolescenti con comportamenti a rischio, psicosociale e psicopatologico, deve prendere in considerazione tanto il rapporto dell’adolescente con il suo ambiente naturale di vita, che il significato che ha per l’adolescente il ricorrere ad "ambienti di soccorso" quando si trova in difficoltà. Questo sposta il nostro discorso sull’origine dei comportamenti trasgressivi in adolescenza. Occorre, a questo punto, chiedersi perché gli adolescenti hanno particolari difficoltà a rispettare le norme ed i codici dell’adulto.


L’origine del comportamento trasgressivo in adolescenza

La trasgressione adolescenziale era in passato considerata la conseguenza di un difetto del processo di socializzazione avvenuto nell’infanzia, dipendente dall’incapacità del bambino d’interiorizzare i controlli imposti dai genitori e dagli altri adulti significativi (Freud A., 1936). In adolescenza, il bisogno di trasgredire le regole può essere invece considerato il prodotto dallo spostamento dell’investimento affettivo dai genitori al gruppo di coetanei. Quando tale trasgressione assume dimensioni etero o autodistruttive, occorre ipotizzare un disturbo nella relazione genitori-figli. L’attenzione nei confronti dei processi primari d’interiorizzazione dei controlli genitoriali portò Ackerman (1968) ad affermare che a causa delle varie manifestazioni di rifiuto da parte dei genitori, la vita emotiva del bambino si orienta in senso egocentrico e l’aggressività non riesce a rivolgersi verso l’interno e a contribuire alla formazione di meccanismi interiori di autocontrollo.
I comportamenti trasgressivi, violenti o ribelli, possono essere ricondotti anche alla dissociazione del soggetto, maturata all’interno delle prime relazioni con l’ambiente. Bion (1962) spiega come il fallimento della madre nel rispondere ai bisogni del bambino lo porti ad incorporare un’immagine della madre che non sa accogliere e digerire le sue angosce. Ciò porta ad avere dentro di sé un oggetto non in grado di capire, un oggetto che volutamente fraintende e con cui ci si identifica. Per l’adolescente ciò significa che deve fare i conti con l’introiezione della non pensabilità dei sentimenti e delle emozioni e con la conseguente reazione di difesa che porta ad agirli con modalità autodistruttive (l’incidente), o eterodistruttive (violenza, teppismo ecc.), dovute alla necessità di sentirsi vivi dentro e di sopravvivere come esseri pensanti.

Secondo Winnicott (1984) il comportamento antisociale appartiene ad un momento di speranza in un bambino che è altrimenti senza speranza. All’origine della tendenza antisociale c’è una deprivazione e l’atto antisociale mira a una riparazione dell’effetto della deprivazione mediante un diniego della medesima. Winnicott differenzia a tal proposito la deprivazione dalla privazione. In quest’ultima manca l’apporto di base dell’ambiente facilitante e si ha come conseguenza un difetto della personalità e non un difetto del carattere. Nell’eziologia della tendenza antisociale esiste un periodo iniziale di sviluppo personale soddisfacente, seguito da un fallimento dell’ambiente facilitante, che è stato sentito, anche se non percepito intellettualmente, dal bambino. La deprivazione non ha deformato l’organizzazione dell’Io "ma ha impresso nel bambino una spinta a costringere l’ambiente al riconoscimento della realtà della deprivazione" (Winnicott, 1984).
Ma anche quando la prima relazione del bambino con il suo ambiente è stata positiva, possono crearsi in seguito le condizioni che portano l’individuo a trasgredire le regole sociali. Ciò si verifica a causa del fallimento del processo di separazione-individuazione dell’adolescenza (Blos, 1962), che porta l’individuo a manovrare e manipolare il mondo interpersonale attraverso gli agìti antisociali e le trasgressione di tutte le regole ed i limiti proposti dagli adulti. L’adolescente ha il compito di scegliere una prospettiva di sviluppo, rinunciando alle altre che sente altrettanto gratificanti (Erikson, 1968). Quando egli ha difficoltà ad acquisire un’identità ben definita si trova in uno stato di confusione dei ruoli, che consiste nel passare da un’identificazione all’altra provando e riprovando ruoli sociali diversi, in una sorta di "vagabondaggio identificatorio" fine a se stesso, generatore di ansie profonde, senza mai riuscire a costruire una sintesi personale delle immagini identificatorie disponibili. Tale confusione può sfociare nella scelta di una "identità negativa", che Erikson (1968) descrive come un’identità perversamente fondata su tutte quelle identificazioni e quei ruoli che in certi stadi critici di sviluppo, erano stati presentati ai ragazzi come indesiderabili o pericolosi.

Ciò ci fa comprendere come il mettere in atto comportamenti trasgressivi ha a che fare con il processo di acquisizione dell’identità sociale da parte dell’adolescente. Egli esplora le diverse possibilità che gli vengono proposte e dopo si impegna a realizzare il ruolo scelto. Alcuni ragazzi hanno la possibilità di esplorare a lungo le diverse alternative altri, invece, non hanno questa possibilità. E così mentre i primi realizzano un processo di sintesi personale dell’identità, i secondi non cominciano per niente tale esplorazione e per diventare adulti si affidano passivamente all’identificazione o alla controidentificazione ("voglio essere il contrario di quello che tu mi chiedi di essere") con persone per loro
significative. Ciò comporta un’eccessiva dipendenza dai modelli identificatori esterni (Marcia, 1980).

L’esperienza del branco in adolescenza, che si organizza intorno alla sottomissione passiva ad un capo, si appoggia su tale distorsione del processo identificatorio. La condizione naturale dell’individuo in adolescenza è quella del gruppo dei pari. Dentro quest’esperienza l’adolescente impara a contrattare se stesso con gli altri, a confrontarsi, ad affermarsi. Quando l’adolescente rinuncia a svolgere questi importanti compiti evolutivi s’inserisce in un branco. Il branco rappresenta, dunque, la rinuncia (intesa come rinuncia ad avere una relazione paritaria con gli altri) al gruppo, che è la condizione essenziale per l’adolescente di maturazione emotiva e d’acquisizione dell’identità sociale.
Gli ostacoli all’acquisizione dell’identità possono essere diversi: alcuni legati all’iperprotezione della famiglia, altri legati alla povertà dell’ambiente. Nel primo caso la famiglia non facilita il superamento delle identificazioni infantili e l’esplorazione d’alternative possibili di scelta, nel secondo caso gli ambienti di vita estremamente poveri di stimoli, non permettono al soggetto di individuare le alternative da esplorare e di conseguenza lo spingono a definirsi frettolosamente e superficialmente. Ciò facilita nel ragazzo l’acquisizione acritica di schemi identificatori come quelli proposti dal gruppo deviante e trasgressivo (la banda, il branco). Quando l’adolescente si trova in tale condizione di patologia sociale è predisposto ad avere incidenti perché intenzionalmente vuole attaccare l’ambiente e le regole che lo governano.
( prima parte)







 
 
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