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C.I.P. n. 2 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE
La formazione degli psicologi interessati ad operare in situazioni di emergenza: una proposta di educazione emotiva ai rischi ambientali elaborata da Di Iorio e Biondo
di Rita Di Iorio
(Psicoterapeuta, segretario Centro Alfredo Rampi ONLUS)
La formazione e l’aggiornamento sono prerequisito e necessità deontologica di ogni professionista. In questo articolo, cercherò di illustrare quale debba essere la formazione per uno psicologo che voglia operare in situazioni d’emergenza.
Le emergenze ambientali sono una realtà con la quale bisogna imparare a convivere, su questo l’umanità ha sempre avuto una chiara consapevolezza, prima che l’ondata razionalistica e tecnologica producesse un tale delirio di onnipotenza da illuderla che potesse eliminare le catastrofi ambientali dalla propria esistenza. Nei confronti delle emergenze vengono ancora fortemente attivate difese mentali molto potenti come la negazione o la rimozione che denunciano quanto forte sia l’angoscia degli esseri umani nei confronti di questi eventi. Il processo di rimozione sociale della catastrofe si fonda su una rimozione individuale della stessa, e se il frutto di tale dimensione a livello individuale si manifesta con la patologia psicosomatica, che è in particolare l’espressione della scissione nell’uomo fra mente e corpo, tra espressioni istintive pulsionali profonde ed elaborazioni razionali difensive, a livello collettivo la catastrofe può essere intesa come l’espressione sintomatica della rimozione dello stesso conflitto natura-cultura. E così come per risolvere il sintomo l’analista parte da questo cercando di rintracciare e costruire il materiale dimenticato, rendendo cosciente ciò che è rimosso, così per risolvere il sintomo catastrofe occorre fare quest’opera archeologica di dissotterramento (P. Bria 1981).
Solo negli anni 80 si cominciò a focalizzare, nel nostro Paese, quanto fosse necessario affrontare in maniera articolata una nuova organizzazione della protezione civile e della sicurezza non solo dal punto di vista legislativo ed operativo ma anche dal punto di vista psicologico. La vita è un continuo cambiamento dovuto ad avvenimenti esistenziali, dai piccoli eventi quotidiani ai più rari e grandi eventi, che richiedono una maggiore e nuova riorganizzazione. L’uomo è sempre soggetto ad un continuo sforzo di adattamento nei confronti del suo ambiente psicosociale e ad un continuo plasmarsi biopsicologico al mondo circostante (Pancheri 1980).
Le caratteristiche comportamentali ed emotive che distinguono le persone fra di loro e che influiscono maggiormente all’adattamento, alla sopravvivenza di un soggetto di fronte alle pressioni ambientali sono le emozioni (Darwin).
In casi di maxi emergenza, sul piano formativo, ritengo possa essere utile preparare gli psicologi alla gestione delle proprie emozioni e alla gestione delle emozioni delle vittime, con un approccio psicodinamico. Nella mia attività di educazione alla protezione civile dei ragazzi e di formazione degli insegnanti alla didattica del rischio ambientale (attività svolta da più di vent’anni all’interno del Centro Alfredo Rampi) e degli adulti alla gestione psico-comportamentale (volontari, psicologi, tecnici della sicurezza ecc…) ho sempre dato forte risalto all’aspetto psicologico come fattore fondamentale alla sopravvivenza in caso di calamità o incidente. Attraverso esperienze concrete (campeggi, campi scuola, seminari in
classe) insegnavamo ai ragazzi come l’autoprotezione durante un’emergenza dipende da tre variabili: l’individuo, l’ambiente, il caso (Di Iorio, Biondo 1987) e insegnavamo loro a lavoravate sugli aspetti emotivi che entrano in gioco durante l’emergenza e come imparare a gestirli meglio. Ad esempio la paura è un’emozione che ha uno scopo puramente biologico, è presente in tutti gli esseri viventi e assolve la funzione di proteggere l’organismo. In un ambiente pericoloso è vitale rispondere con atteggiamenti di paura poiché predispone l’organismo ad una risposta coerente alla realtà dell’ambiente.
La paura è un’emozione che per sua natura è difensiva, protettiva ed aiuta a dare una risposta efficace, ma ottiene un effetto contrario, divenendo disgregante del comportamento, quando degenera nel panico che paralizza ogni movimento o spinge a comportamenti irrazionali (Di Iorio 2001, Di Iorio-Biondo 1987).
La degenerazione della paura in panico non sempre dipende dalla gravità della reazione esterna (cataclisma), ma si può generare anche quando l’organismo non riesce ad elaborare una risposta, una "strategia di salvezza" e allora scatta l’allarme e poi il blocco. L’organismo umano è abituato a rispondere a stimoli negativi ma quando questi superano la soglia di vulnerabilità personale scatta il panico.
La paura che si presenta davanti un incendio è considerata una risposta funzionale alla sopravvivenza, mentre il panico è considerato una reazione mal organizzata ed eccessiva di fronte ad un pericolo dal quale non ci si sa difendere.
Il panico compare molto frequentemente in situazioni di emergenza dove è difficile reagire normalmente, dove non si può scappare, non ci si può arrabbiare, non ci si può mostrare deboli e chiedere aiuto, non ci si può disperare ed essere tristi, non si riesce ad organizzare l’azione, non si riescono ad integrare tra loro emozioni e cognizioni, personaggi e storie. Occorre prepararsi prima a rispondere in modo sereno e razionale alle situazioni di emergenza. Quanto premesso fa capire come non basti lavorare solo su un buon addestramento tecnico nel campo della formazione della popolazione e dei soccorritori ma, è necessario lavorare parallelamente e con la stessa serietà e professionalità sugli aspetti psicodinamici.
Gli psicologi che intervengono in emergenza - siano essi appartenenti ad Enti istituzionali preposti al soccorso siano essi volontari - sono spesso impreparati a portare uno specifico soccorso psicologico in situazione di maxi emergenza. Spesso si sentono essi stessi indifesi emotivamente di fronte a situazioni estremamente drammatiche e prolungate, confuse, al di fuori di ogni setting conosciuto. Le realtà di maxiemergenza ambientale e difesa civile sono molto diverse dagli ambiti nei quali noi psicologi quotidianamente lavoriamo.
Questo tende a far sottostimare la necessità specifica di una formazione in questo settore della psicologia sia da parte dei funzionari e degli operatori della protezione civile sia da parte degli psicologi, e quest’ultimo è da considerare più pericoloso. Spesso durante i corsi da me gestiti sulla formazione alla psicologia dell’emergenza incontro colleghi che si rendono conto della complessità di questo campo di intervento solo durante le esercitazioni pratiche, quanto le teorie ritenute scontate e conosciute prendono applicabilità diversa su uno scenario d’emergenza, quanto la propria preparazione tecnica ed emotiva viene messa a dura prova.
In un settore ancora tutto da scoprire nel nostro Paese, dove ancora la psicologia dell’emergenza deve acquisire un ruolo necessario (all’interno del settore sanitario) al pari degli altri, lo psicologo non può presentarsi impreparato (nelle modalità di prevenzione e soccorso specifico), scollegato dai colleghi e dalle altre istituzioni della protezione civile. Occorre una sinergia ferrea tra gli operatori di ogni tipo (medici, vigili del fuoco, volontari della protezione civile, forze dell’ordine ecc.) sulle metodologie di intervento, sul linguaggio, sugli strumenti operativi, sulle strutture logistiche.
Altro aspetto importante della formazione dello psicologo dell’emergenza è rappresentato da un serio lavoro di conoscenza di se stesso. In una situazione di immediata post emergenza è impensabile offrire un setting analitico classico e lungo ma è necessario, secondo la mia esperienza, che lo psicoterapeuta debba avere un setting interno ben strutturato che possa permettergli di lavorare in uno scenario destrutturato, pieno di sofferenza dilagante, che possa permettergli di sostenere la vittime e gli operatori coinvolti. Molto spesso i colleghi, come già accennato, sottovalutano la specificità della psicologia dell’emergenza, ne sottovalutano il linguaggio internazionale, la complessità delle situazioni, le tecniche specifiche, i protocolli tra le forze operative in campo, gli aspetti emotivi e pensano di potersi dedicare a questo settore senza una formazione adatta. Bisogna, invece, esseri pronti per garantirsi una protezione psicofisica, a lavorare in situazioni confuse piene di mille richieste diverse, essere pronti a lavorare per la ricostruzione dei nuclei familiari, a lavorare con le utenze deboli, a sostenere i responsabili del campo, a fornire un’adeguata informazione alle vittime, alla popolazione, a sostenere
tanti altri compiti tutti ugualmente importanti per la pianificazione e la gestione dell’emergenza. Lo psicologo quindi deve avere elaborato per quello che è possibile le sue emozioni di fronte a situazioni traumatiche ed appreso tecniche di intervento di tipo psicodinamico. Tutti coloro che vogliono interessarsi a questo ambito, psicologi, volontari di protezione civile, operatori del soccorso in genere, è bene che approfondiscano le motivazioni che li spingono verso questo settore, e si adoperino nel potenziare le capacità
personali e le competenze professionali. Lo psicologo, per poter lavorare in questo ambito, è bene che conosca una tecnica di conduzione psicodinamica di gruppo sia per contenere i soccorritori e aiutarli ad elaborare l’esperienza dopo un intervento particolarmente faticoso, che per formare preventivamente gruppi di soccorritori che generalmente lavorano insieme in squadre.
La capacità di lavorare in gruppo rappresenta:
il miglior presupposto per ricevere dal gruppo il sostegno emotivo necessario per affrontare l’emergenza e metabolizzare lo stress da soccorso;
la possibilità di affinare le capacità di comunicazione con gli altri al fine di potersi coordinare efficacemente con i soccorritori appartenenti ad altri gruppi, enti o istituzioni;
il presupposto per integrare i diversi interventi di soccorso e raggiungere il miglior coordinamento operativo, nonché l’armonia relazionale fra i diversi soccorritori (Biondo, Di Iorio 2004).
I presupposti prima elencati fanno parte della proposta formativa ai micro e ai marco rischi elaborata da me e dal collega D. Biondo all’interno dell’Associazione Centro Alfredo Rampi Onlus. Una formazione che può essere riassunta come proposta di educazione emotiva ai rischi ambientali (Biondo, Di Iorio 2002) svolta da circa 25 anni nei confronti degli insegnanti, volontari di protezione civile, psicologi, infermieri, personale addetto alla sicurezza, ragazzi e adolescenti nelle scuole, della cittadinanza.