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C.I.P. n. 6 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE
INTERVENTO PSICOLOGICO ALLE VITTIME DI VIA LIBERO LEONARDI
METODOLOGIA D’INTERVENTO
Rita Di Iorio*, Maria Teresa Devito**, Gabriella Mosca***
*Psicoterapeuta, psicologa delle emergenze, presidente PSIC-AR
**Psicologa del lavoro, esperta in psicologia dell’emergenza, segretario di PSIC-AR
***Psicologa di PSIC-AR, esperta in psicologia giuridica e dell’emergenza.
Siamo in associazione (Centro Alfredo Rampi), la mattina dopo l’incendio alla palazzina, quando arriva la telefonata del responsabile del volontariato del Centro Operativo Comunale di Protezione Civile, che ci comunica dell’emergenza della palazzina in via Libero Leonardi: gli inquilini si trovavano presso la parrocchia del quartiere Cinecittà, dove era stato allestito un centro di accoglienza.
I condomini, evacuati durante la notte erano in attesa dell’assegnazione di un alloggio.
Chiamiamo il responsabile del nostro gruppo di psicologi dell’emergenze Alfredo Rampi, Rita Di Iorio, ed il responsabile di protezione civile presente sul posto, per avere maggiori informazioni.
Nel frattempo arriva l’attivazione ufficiale da parte dell’ufficio extradipartimentale di protezione civile del Comune di Roma, il COC (Centro Operativo Comunale), che richiede il nostro intervento per venti giorni.
Inizia il nostro iter organizzativo e di coordinamento, attuando il nostro protocollo di intervento.
Il nostro responsabile ci suggerisce di raccogliere il maggior numero di notizie utili, prima di recarci sul posto (quante persone sfollate, quanti bambini e se ci sono persone con particolari necessità di sostegno, sia fisico che psicologico).
Decidiamo,quindi, che possiamo recarci sul posto, insieme a due volontari del sevizio civile presso il Centro Alfredo Rampi, psicologi, che avrebbero potuto dare un aiuto logistico, mentre la collega resta in associazione per iniziare a contattare il resto dei nostri colleghi di PSICAR.
Sul posto si trovano i volontari della protezione civile che stanno provvedendo a compilare delle liste delle persone alle quali non era ancora stato assegnato l’alloggio, mentre noi cerchiamo di individuare le persone che sembra abbiano bisogno del nostro sostegno. Una di noi si avvicina ad una signora che se ne sta da sola in una stanza, dove avevano appena finito di bere qualcosa di caldo, mi siedo vicino a lei, mi presento e le chiedo se mi vuole raccontare quello che era successo. La signora inizia a raccontarmi subito ciò che era successo in modo un po’ concitato come aveva vissuto quei momenti "terribili" attraversata da mille paure prima fra tutte quella di non riuscire a salvarsi. Mi raccontava ciò che era successo durante la notte, mi ha parlato delle sue paure per quello che sarebbe potuto succedere nel futuro, l’essere senza casa, i vestiti, le "sue cose": si avvertiva chiaramente la paura per aver perso un punto di riferimento importante, la casa, il luogo dove per eccellenza le persone si sentono più sicure e protette. Sono stata insieme alla signora finché non l’hanno chiamata per assegnarle l’alloggio.
La collega, rimasta in associazione, continua il lavoro di raccolta delle disponibilità di tutto il nostro gruppo per poter garantire la presenza di almeno due psicologi nel presidio istituito dalla protezione civile comunale. Nei giorni successivi iniziamo una fitta comunicazione, tramite e-mail e non solo, per tenerci informati e aggiornati sugli interventi che, a turno, svolgevamo con le persone sfollate della palazzina.
Ci rendiamo conto che l’intervento di sostegno psicologico doveva essere esteso, e veniva richiesto, anche dalle persone alloggiate negli alberghi. Questo perché alcuni di loro erano impossibilitati, per cause fisiche, a tornare sul posto, mentre, per altri, era di ordine psicologico, di rifiuto a tornare perché il dolore, alla vista della casa perduta, veniva vissuto come nsopportabile.
Viene chiesto anche, in maniera diretta, un aiuto da parte dei genitori, per i loro figli, preoccupati per l’esito psicologico che, tale evento, avrebbe provocato in loro.
Abbiamo iniziato, quindi, a coinvolgere la scuola della zona, chiedendo al dirigente ed alle insegnanti, la segnalazione di cambiamenti comportamentali nei ragazzi.
Con i bambini presenti sul posto, davanti alla palazzina, si è cercato di far rielaborare l’esperienza traumatica vissuta con il disegno. In uno di questi disegni un bambino raffigurava una casa con le ruote e ci diceva – io avevo detto a papà di compare una casa con le ruote, con quella si può scappare - .
Altra richiesta è stata quella di costituire e organizzare degli incontri di gruppo dove gli sfollati potessero confrontarsi tra di loro: è quello che abbiamo cercato di fare presso la parrocchia, senza non poche difficoltà. Ciò che le persone raccontavano era che avrebbero voluto confrontarsi con altri perché credevano di stare per impazzire, lamentando di non riuscire a chiudere occhio ripensandosi sempre in quelle scale a correre nella morsa del terrore di non riuscire ad arrivare fuori dalla loro casa, che si era trasformata nella loro trappola. Altri ci dicevano di non voler partecipare ai gruppi perché pensavano che si sarebbero intristite di più ascoltando le emozioni negative provate dagli altri.
Il lavoro del responsabile del nostro gruppo, intanto, si concentra sul coinvolgimento dei servizi del Municipio di zona, compito che ha evidenziato alcune criticità.
In primo luogo di tipo logistico, in quanto, non avendo una postazione psicologica sul luogo tutto doveva svolgersi tramite l’ausilio degli strumenti personali e nel pezzo di strada transennato davanti la palazzina, in condizioni climatiche avverse, ossia sotto la pioggia ed equipaggiati di soli ombrelli o impermeabili usa e getta.
C’è stata la mancanza di risposta da parte dei servizi del territorio nonostante le diverse telefonate per attivarli; non si è riusciti a creare una continuità del lavoro tra l’emergenza e il post-emergenza. Ciò non vuole essere una critica ma una riflessione sull’importanza della collaborazione tra le varie strutture presenti sul territorio, un passaggio di consegna agli psicologi che intervengono nell’emergenza e i colleghi dei servizi del territorio.
Al contrario, significativa è stata la collaborazione tra: psicologi dell’emergenza, volontari di protezione civile, polizia municipale, vigili del fuoco e carabinieri.
La presenza degli psicologi dell’emergenza è stata rassicurante, contenitiva, non solo per gli sfollati dalla palazzina, ma anche per quelle persone che erano lì a garantire la messa in sicurezza sia dei condomini che dello stabile, ossia gli operatori del soccorso. La loro principale paura era quella trovarsi, come nel primo giorno, di fronte a crolli emotivi degli inquilini e non sapere come gestirli.
Infatti è capitato spesso che qualche persona abbia avuto un crollo emotivo, una volta uscita dall’appartamento bruciato e, i la polizia municipale o i vigili del fuoco, ci segnalavano, a volte solo con uno sguardo e con molta sollecitudine, le persone che avevano bisogno di sostegno.
Il nostro intervento è durato venti giorni: i primi dieci giorni con frequenza giornaliera sul posto, mentre negli altri dieci con interventi presso la parrocchia o presso gli alberghi. Il nostro intervento è stato organizzato in modo da raggiungere il singolo individuo, il gruppo e la scuola.