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C.I.P. n. 9 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE
IL RISCHIO PERCEPITO
VARIABILI SOGGETTIVE E SOCIO-CULTURALI
Michele Grano
Psicologo dell’educazione e dell’età evolutiva, socio Psic-Ar
L’uomo, nel corso della storia, è sempre stato esposto a rischi e pericoli, in qualsiasi luogo si trovasse e qualsiasi fosse la sua attività. Tale situazione ha certamente avuto un’evoluzione nella storia dell’umanità, a partire dal significato stesso del termine "rischio", che lungo i secoli ha subito profondi mutamenti.
Nel medioevo, periodo in cui tale termine ha iniziato ad avere un’ampia diffusione legata alla nascita delle imprese marittime dell’epoca pre-moderna e ai loro relativi pericoli, la parola "rischio" indicava unicamente «la possibilità di un pericolo oggettivo, un atto di Dio, una forza maggiore, una tempesta o qualche altro pericolo del mare non imputabile a una condotta sbagliata» (Ewald, 1993, p. 226); in pratica, escludeva l’eventualità di ogni errore o responsabilità umana, poiché era ricondotto unicamente ad eventi esterni e scarsamente controllabili.
Con il passaggio alla modernità il rischio ha assunto un nuovo significato, che ha contribuito a diffondere i nuovi modi di intendere e rappresentare il mondo, fatto di caos, contingenze e incertezze: ha preso il posto di ciò che precedentemente si attribuiva alla fortuna, al fato o ad altre entità esterne, dal momento in cui l’uomo ha iniziato a considerare gli imprevisti e gli eventi infausti anche come possibili conseguenze dell’azione umana (Giddens, 1994, pp. 39-40).
L’uso del concetto di rischio, pertanto, si è progressivamente esteso, e oggi viene applicato ad una grande varietà di situazioni, ma non c’è ancora unanimità nella sua valutazione ed interpretazione, specie per quanto riguarda la sua influenza nella vita di ciascuno; spesso, infatti, le persone assumono atteggiamenti che non sempre corrispondono all’effettiva incidenza del pericolo, come se la percezione del rischio non corrispondesse ad una sua valutazione razionale. Per verificare le ragioni di tale fenomeno è utile, anzitutto, operare una differenziazione concettuale tra i termini "rischio" e "pericolo", che esiste tecnicamente, ma che nel linguaggio comune viene generalmente negata: la parola "pericolo" identifica l’agente, la situazione, l’evento capace di arrecare un danno (possono essere pericolosi un’automobile, una frana, un nubifragio, ecc.); "rischio" indica, invece, la probabilità che l’evento produca il danno, che è in funzione della vulnerabilità del sistema e del valore dei beni potenzialmente interessati (Bellotto – Zuliani, 2006, p. 2).
Tale visione tecnico-probabilistica del concetto di rischio risulta essere inadeguata, o quantomeno incompleta, proprio perché comunemente "rischio" non è inteso solo come il prodotto osservabile della probabilità che si verifichi un evento per la gravità del danno, ma risente della valutazione soggettiva, della percezione che la singola persona o il suo gruppo sociale hanno di un dato pericolo: oggi, pertanto, si tende a distinguere tra rischio "reale" e rischio "percepito".
Nella percezione del rischio rientrano diverse variabili, di natura personale o socio-culturale, che dipendono dalle modalità con cui le persone si rapportano a specifiche situazioni: dalle informazioni possedute circa un dato evento pericoloso, ai valori di riferimento dei singoli o dei gruppi sociali; dal locus of control (la percezione di controllabilità che si ha di un evento o della realtà esterna), alla cultura o all’ambiente sociale in cui si è inseriti; dal valore dei beni coinvolti, all’ipotizzata gravità delle conseguenze. È proprio per questa percezione soggettiva dei rischi che un’azione come il guidare un automobile è considerata meno pericolosa del volare in aereo, pur provocando decessi e rischi più numerosi e diffusi rispetto a quelli localizzati e concentrati del volo aereo; è per questo, ancora, che una situazione poco familiare, come ad esempio un attacco batteriologico, è percepita come più pericolosa rispetto ad azioni più comuni e abituali, come l’attraversare la strada (ibidem, 2-3; De Felice – Colaninno, 2003, p. 21).
Perciò, come ricordano Biondo e Di Iorio (2009, p. 98), «risulta poco sensato parlare di un livello oggettivo di rischio; ciò che conta sono le dinamiche percettive che presiedono alla costruzione socioculturale»,
Gli psicologi dell’emergenza devono tenere ben presenti questi aspetti, sia per arginare certe forme del tutto fuorvianti di prendere in considerazione il rischio da parte dei singoli, delle comunità e delle autorità addette alla sicurezza sanitaria e pubblica, che inseguono l’idea fallace ed inverosimile del "rischio zero", una chimera che porta a sottovalutare o a leggere eufemisticamente l’effettiva entità delle diverse situazioni minacciose, deformando la realtà (Zuliani, 2006, pp. 156-157), sia per effettuare una corretta comunicazione dei rischi in situazioni di allarme o di emergenza, che non sia centrata solo sugli aspetti tecnici, ma che possa aiutare le persone a comprenderne e interpretarne fenomeni e dinamiche che vi stanno dietro.
Bibliografia
Bellotto E., Zuliani A. (2006), La percezione del rischio: un problema aperto, in "PdE. Rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente", vol.2, n. 4, pp. 2-5.
De Felice F., Colaninno C. (2003) , Psicologia dell’emergenza, Milano, Franco Angeli.
Di Iorio R., Biondo D., (2009) , Sopravvivere alle emergenze. Gestire i sentimenti negativi legati alle catastrofi ambientali e civili, Roma, Edizioni Magi.
Ewald F. (1993), Two infinities of risk, in Massumi B. (Ed.), The Politics of Everyday Fear, Minneapolis, University of Minnesota Press, pp. 221-228.
Giddens A. (1994) , Le conseguenze della modernità, Bologna, Il Mulino.
Zuliani A . (2006), Manuale di psicologia dell’emergenza, Santarcangelo di Romagna, Maggioli.