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C.I.P. n. 9 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE
ASPETTI FISIOLOGICI DELL’EMOZIONE
Emanuele Ferrigno
Psicologo dell’emergenze, Socio PSIC-AR
L’emozione è un evento multisistemico:
Elaborazione cognitiva
Eventi motori
Risposte fisiologiche
Circuiti neuronali delle emozioni
Sistema Nervoso Centrale (SNC)
encefalo, midollo spinale, ipotalamo, amigdala
Sistema Nervoso Periferico
Nervi afferenti ed efferenti. Mette in collegamento il SNC con il corpo.
Sistema Nervoso Autonomo (SNA)
Responsabile delle risposte vegetative
Sistema endocrino
Funzione d’integrazione e mediazione delle interazioni tra SNC e SNA
Ipotalamo (diencefalo)
integra le risposte motorie ed endocrine che generano comportamenti emozionali appropriati. L’interazione tra l’attività neuronale dell’ipotalamo e quella dei centri superiori determina un’esperienza emozionale (paura, ira, piacere ecc.).
assieme alle strutture del sistema limbico, in relazione con esso, riceve informazioni direttamente dall’ambiente interno agendo direttamente sull’ambiente interno.
contiene un elevato numero di circuiti neuronali implicati in funzioni vitali quali il controllo della temperatura, della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, dell’osmolarità del sangue e dell’assunzione di cibo ed acqua.
Il comportamento di pazienti a cui viene rimossa la corteccia prefrontale o il giro del cingolo (parti dei quali sono in relazione col sistema limbico) conferma la compromissione dei precedenti punti.
Stimoli nocivi e piacevoli hanno un duplice effetto: innescano risposte vegetative ed endocrine che vengono integrate dall’ipotalamo determinando una serie di variazioni che preparano l’organismo all’attacco, alla fuga o ad altri comportamenti adattivi. Queste reazioni interne sono di esecuzione relativamente semplice e non richiedono alcun controllo cosciente.
Quando s’interagisce con l’ambiente esterno entrano in gioco altri tipi di meccanismi che coinvolgono il telencefalo (corteccia cerebrale) e modulano il comportamento. Forse la coscienza si è evoluta per far fronte all’enorme complessità dell’ambiente esterno, meno prevedibile di quello interno e dalla gran varietà di stimoli. Inoltre nelle relazioni col mondo esterno spesso le risposte vengono differite per essere messe al servizio di progetti e strategie particolari.
Cos’è l’emozione
La riscrittura intraindividuale di un dato cognitivo. L’emozione è somatica perché fatta di tensioni muscolari e vegetative. Lo stimolo cognitivo esterno diventa "carne e sangue" (muscoli e irrorazione muscolare) del soggetto.
[Modello bioesistenzialista: analizza il rapporto tra processi cognitivi ed emozionali]
Modello psicofisiologico dell’emozione (Ruggieri, 1988)
1. Il soggetto percepisce uno stimolo esterno o interno (ricordi, rappresentazioni mentali etc.) che, agendo su alcuni specifici centri nervosi (ipotalamo e sistema limbico) produce un'attività che impegna contemporaneamente il sistema muscolare ed il sistema neurovegetativo (cioè quella parte del sistema nervoso che presiede alla regolazione dell'attività degli organi interni). Il sistema nervoso centrale, dunque in risposta allo stimolo emotigeno invia impulsi ai muscoli ed ai visceri.
2. Muscoli e visceri a loro volta segnalano, mediante informazioni di ritorno, al sistema nervoso centrale la presenza dell'attività provocata dal sistema nervoso medesimo.
3. Il sistema nervoso centrale raccoglie tali informazioni di attività mettendo in atto un processo di "sintesi". In altri termini la raccolta dell'informazione proveniente dalla periferia del corpo (muscoli e visceri), in questo caso, non rappresenta la base per operazioni percettive di tipo analitico ma per una sintesi unificante globale dell'esperienza sensoriale. Quando si parla di informazioni sensoriali non ci si riferisce soltanto alle informazioni sensoriali cutanee o visive o uditive ma anche alle cosiddette informazioni propriocettive cioè alle informazioni provenienti dai muscoli e dai tendini.
4. Quando l'informazione di ritorno proveniente dall'attività di diverse aree corporee (diversi distretti muscolari) è stata sintetizzata, si produce quel particolare "vissuto" che chiamiamo "sentimento". In questo caso non è importante per il soggetto riconoscere la provenienza corporea delle informazioni sensoriali che generano il sentimento ma vivere un'esperienza unitaria di piacere o di dolore da collegare con lo stimolo o la situazione stimolo che l'ha provocata. Da un punto di vista della consapevolezza percettiva, la radice corporea del sentimento, per quanto indispensabile per la sua genesi, passa in secondo piano rispetto al "vissuto" di coinvolgimento globale che interessa il soggetto nella sua totalità. Ciò che importa è ciò che si prova in termini di piacere-dolore in rapporto alla sorgente di stimolazione esterna! La percezione delle singole componenti corporee che ne sono alla base interferirebbe in qualche modo con l'esperienza unitaria che chiamiamo sentimento.
In virtù dei meccanismi fisiologici dell'emozione, uno stimolo esterno è stato in qualche modo "trasformato" in un complesso di eventi corporei che assumono il significato di segnale. In altri termini il soggetto "legge" ciò che lo stimolo ha provocato realmente in lui.
L’emozione è un autosegnale
Espressione di un’alterata omeostasi che compare in rapporto a una situazione stimolo in grado di modificare la stabilità abituale dell’organismo in eccesso o in difetto. Lo stimolo può essere anche interno, di natura autorappresentativa (immaginarsi un pericolo). Da un punto di vista fisiologico la risposta che scatta in rapporto allo stimolo è la stessa (salvo differenze d’intensità) sia, ad esempio, se immagino un pericolo che se lo vivo realmente (la risposta PAURA è fisiologicamente la stessa).
La risposta disomeostatica nella maggioranza delle emozioni è caratterizzata da un incremento d’eccitazione che si riduce attraverso:
Comportamento consumatorio
Inibizione corticale centrale
La tensione preparatoria è funzionale alla risposta entro certi limiti perchè se si supera la tensione ottimale si può avere un effetto inibitorio.
Legge di Yerkes Dodson: la qualità della prestazione cresce man mano che cresce il livello d’attenzione (tensione) fino ad un punto critico, oltre il quale la prestazione peggiora progressivamente (ansia libera).
Risposte emozionali allo stress
Una risposta emozionale, soprattutto a connotazione negativa, è caratterizzata da un’ipereccitazione disomeostatica, e rappresenta una forma di stress, specie se i livelli di eccitazione sono particolarmente elevati.
La risposta STRESS, dovuta ad agenti sia fisici che psichici, secondo il modello psicofisiologico di Ruggieri, è costituita da sequenze caratteristiche:
Shock
Controshock
Resistenza
Esaurimento
FASE DI SHOCK Fase iniziale di inibizione in cui il quadro è dominato da un marcato trofotropismo[1]. Es: marcato calo di pressione arteriosa.
FASE DI CONTROSHOCK Segue un rimbalzo eccitatorio come controbilanciamento (rebound), una condizione di ipereccitazione ergotropa[2] con interessamento sia degli ormoni ipofisari che della corteccia surrenica. Es: innalzamento della pressione arteriosa.
FASE DI RESISTENZA Nel caso in cui gli agenti stressori continuino ad agire, tende a protrarsi nel tempo (lo stress). Fase eccitatoria protratta alla quale può seguire
FASE DI ESAURIMENTO Stato inibitorio diffuso caratterizzato da una prevalenza trofotropa, o meglio da un’inibizione del sistema ergotropo.
[1] Trofotropismo: prevalenza funzionale del parasimpatico; prevale l’anabolismo, il recupero energetico (sonno, veglia rilassata, riposo, muscoli rilasciati).
[2] Ergotropismo: prevalenza funzionale del simpatico;alto tono muscolare, tendenza alla desincronizzazione dell’attività elettrica corticale. Condizione di attività, consumo energetico.
Alti livelli di eccitazione si accompagnano ad un’eccitazione dell’asse diencefalo-ipofisi-surrene con aumento in circolo degli ormoni della corteccia surrenica che contribuiscono a mantenere una condizione di marcato ergotropismo. La risposta di stress, a sua volta, se si protrae nel tempo costituisce una condizione favorente l’insorgenza di patologia.
La patologia nasce da uno spostamento in una delle due direzioni della bilancia Eccitazione-Inibizione (Ruggieri, 1988).
La paura
Che cos’è?
Risposta adattiva a uno stimolo minaccioso ovvero una specializzata modalità del nostro organismo di rielaborare le informazioni e affrontare la realtà.
Di fronte al pericolo il corpo si predispone all’azione con una serie di cambiamenti fisici volti ad aumentare al massimo le possibilità di sopravvivenza.
Lo stato di allerta attivato dalla paura, consente di affrontare al meglio il nemico "pericolo" e di combatterlo.
La lotta e la fuga
Costituiscono le due fondamentali possibilità di risposta al pericolo.
La fuga richiede la simultanea valutazione di due elementi: la capacità di far fronte al pericolo e l’individuazione di una via di fuga.
La lotta, in modo analogo, richiede la valutazione del rapporto tra la possibilità di fuga e l’entità della minaccia rispetto alle proprie risorse e alle proprie aspettative.
Come si manifesta la paura?
Ciò che sentiamo quando abbiamo paura è: tremore, sudore, vuoto nella pancia, accelerazione del battito cardiaco, stato di tensione ecc.
Ciò che esprimiamo è: il grido, l’urlo, l’espressione del viso, l’espressione del corpo ecc.
Paura e controllo
La paura è in grado di:
influire e modificare il nostro equilibrio psicofisico, acuendo le nostre facoltà percettive e anche assorbendo totalmente la nostra attenzione e le nostre capacità di reazione. Ogni altra attività o desiderio vengono sospesi per affrontare il pericolo
attivare la reazione immediata di emergenza (automatica e difficile da arrestare)
valutare il pericolo e verificarne la controllabilità
La paura non è un aggressore esterno, ma un regolatore interno
La paura non abita fuori di noi, ma è il nostro specifico modo di rispondere al pericolo; occorre, quindi, analizzare come funziona il nostro sistema della paura, per renderlo più flessibile e per porlo più direttamente sotto il nostro controllo
La paura è il filo che unisce: terrore, timore, ansia, panico, apprensione, preoccupazione, inquietudine, allarme, fobie ecc.
In base al loro diverso grado di intensità e di attivazione, i diversi componenti della famiglia della paura possono essere ordinati in funzione di due dimensioni:
intensità emotiva,
controllo cognitivo della minaccia.
Pericolo reale e pericolo immaginato
Il pericolo può presentarsi all’esterno, così come abitare all’interno della nostra mente.
Pericolo reale: minacce contingenti,
Pericolo immaginato: eventuali traumi irrisolti ecc.
Anche le minacce interne influenzano la valutazione del pericolo e la reazione di paura che ne consegue.
La Paura e le sue patologie
L’ansia e la paura sono reazioni sane, anzi utili a situazioni dannose o potenzialmente pericolose. Ci preparano a evitarle e ci predispongono ad affrontarle. In alcuni casi, si assiste però a una degenerazione del sistema della paura fino ad arrivare a serie patologie cliniche, quali:
Fobie,
Attacchi di panico,
DSPT,
Ansia generalizzata.
Comunicazione non verbale
Fronte e sopracciglia: si sollevano determinando la formazione di rughe orizzontali sulla fronte.
Occhi: appaiono più aperti del normale con la palpebra inferiore tesa e quella superiore leggermente sollevata. Lo sguardo mostra una particolare immobilità e fissità.
Naso: le ali del naso sono dilatate.
Bocca: aperta con lieve retrazione degli angoli, labbra tese e contratte.
Rabbia
Fronte e sopracciglia: pelle contratta con formazione di rughe verticali tra le due sopracciglia che si aggrottano e si abbassano.
Occhi: palpebre che si avvicinano fra loro con conseguente aperture degli occhi ridotta.
Sguardo: contatto fisso e duro diretto verso l’oggetto della rabbia.
Naso: dilatazione della narici.
Bocca: possono essere presenti diverse modalità: bocca chiusa con denti serrati, labbra aperte a forma rettangolare ecc.
Tristezza
Fronte e sopracciglia: forma obliqua con l’estremità esterne abbassate e quelle interne sollevate.
Palpebre e occhi: rivolti verso il basso con rughe sotto gli angoli esterni.
Sguardo: offuscato e inespressivo.
Bocca: angoli abbassati.
Sorpresa
Fronte e sopracciglia: sollevate a forma di curva, rughe orizzontali disposte in linee concentriche e parallele alle sopracciglia.
Occhi: sono spalancati con la sclera chiaramente visibile sopra e sotto l’iride.
Sguardo: arrotondamento della forma degli occhi che gli conferiscono una apparenza di fissità e immobilità.
Bocca: è aperta e assume una forma ovale.
Alessitimia
Il termine "alessitimia" fu coniato da Sifneos (1973) per indicare: " Un disturbo specifico nelle funzioni affettive e simboliche che spesso rende sterile e incolore lo stile comunicativo dei pazienti psicosomatici".
Il termine deriva dal greco: letteralmente "mancanza di parole per le emozioni", ad indicare una marcata difficoltà nel riconoscere, esplorare ed esprimere i propri vissuti interiori.
Secondo la letteratura recente l'alessitimico è caratterizzato da:
difficoltà di identificare i sentimenti e di distinguerli dalle sensazioni somatiche;
difficoltà nel descrivere e comunicare emozioni e sentimenti alle altre persone;
processi immaginativi limitati;
stile cognitivo orientato esternamente.
Tali elementi alessitimici.sono stati riscontrati anche in pazienti con disturbi da uso di sostanze e disturbi da stress post-traumatico, in pazienti con gravi disturbi affettivi o depressioni mascherate da sintomi fisici. Inoltre, l'alessitimia è stata descritta come un fenomeno secondario nei pazienti in dialisi e in quelli che hanno subito un trapianto, oltre a quelli in pericolo di vita che si trovano nei reparti di terapia intensiva. In genere gli individui alessitimici oltre ad avere un pensiero simbolico ridotto, mostrano anche difficoltà a riconoscere e descrivere i loro sentimenti e a discriminare tra stati emotivi e sensazioni corporee. Tradiscono un funzionamento emotivo ridotto anche la rigidità nei movimenti e la mancanza di movimenti espressivi del volto di queste persone. In genere le persone alessitimiche sembrano ben adattate da un punto di vista sociale, nonostante manchi loro sia la capacità di entrare in contatto con la propria realtà psichica e con i propri vissuti interiori, sia la fondamentale capacità di sintonizzarsi sui sentimenti e vissuti altrui. D'altra parte, tendono a stabilire relazioni interpersonali fortemente dipendenti oppure preferiscono stare da soli.
Nello sviluppo dell’alessitimia sono in gioco diversi elementi, infatti oltre che da fattori genetici, neurofisiologici e intrapsichici, sono fondamentali i fattori socioculturali ed i modelli familiari di comunicazione. Dal punto di vista psicoanalitico si attribuisce enorme importanza agli stili di attaccamento nei primi anni di vita. Secondo McDougall (1982) l'alessitimia è una difesa straordinariamente forte contro il dolore psichico, mentre Krystal (1979, 1982-1983) invece di concettualizzare l'alessitimia come una difesa, la attribuisce ad un arresto dello sviluppo affettivo a seguito di un trauma infantile, o a una regressione nella funzione affettivo-cognitiva dopo un trauma catastrofico nella vita adulta. Il contrario dell'alessitimia, in un certo modo, è l'empatia. Essa è quell'abilità che consente alle persone di entrare in sintonia con i propri e gli altrui stati d'animo. E' possibile osservare un abbozzo di empatia sin dalla prima infanzia. Dal giorno stesso della nascita, infatti, i neonati sono turbati dal pianto di un altro bambino. E' possibile osservare bambini intorno all'anno d'età che imitano la sofferenza altrui, probabilmente per meglio comprendere ciò che l'altro sta provando. Titchener negli anni venti nominò questa abilità "mimetismo motorio" e secondo tale autore essa è il precursore dell'empatia. Inoltre, sembra che alla base dell'empatia ci siano i processi di sintonizzazione-desintonizzazione che caratterizzano le prime fasi del rapporto madre-figlio e che consentono al bambino di sentirsi compreso. La mancanza di sintonia emozionale tra genitori e figli impone al bambino un costo enorme in termini emozionali. Quando un genitore offre poca empatia rispetto alle diverse emozioni del bambino - gioia, pianto, bisogno di essere cullato - questi comincia ad evitare di esprimerle e forse anche di provarle. In questo modo, presumibilmente, numerose emozioni sono scarsamente presenti nel repertorio delle relazioni intime soprattutto se, anche in seguito durante l'infanzia, questi sentimenti continuano ad essere copertamente o apertamente scoraggiati. D'altra parte, sembra che gli uomini alessitimici siano in numero superiore rispetto alle donne. Molti ritengono che agli uomini, più che alle donne, si insegni a trattenere le proprie emozioni e a sviluppare capacità legate più alla vita pratica, lavorativa che non alla sfera affettiva.
La Teoria dell’Attaccamento di John Bowlby (1969/1980) postula che gli esseri umani abbiano una predisposizione innata a formare relazioni di attaccamento con le figure genitoriali primarie, che le relazioni di attaccamento abbiano la funzione di proteggere lil piccolo, e che tali relazioni esistano in forma organizzata alla fine del primo anno di vita. I tre pattern di attaccamento individuati da Ainsworth e coll. (Ainsworth et al., 1978), insicuro evitante (A), sicuro (B), e insicuro ansioso resistente (C), e quello successivamente identificato da Main e Solomon (1986), definito disorientato/disorganizzato (D), rappresentano quattro diverse modalità di relazione madre/bambino. In definitiva, l'alessitimico ha una difficoltà anche nel comunicare un eventuale disagio emotivo; non riesce ad appoggiarsi agli altri come fonte di conforto e aiuto nello stress. E', inoltre, caratterizzato da conformismo sociale, scarsa espressività della mimica, e come abbiamo visto poca empatia. L'alessitimia si misura con la "Toronto Alexithimia Scale" a 20 items ; per il punteggio si usa una scala Likert a cinque punti. In essa vi sono tre fattori:
difficoltà nell'identificare i sentimenti;
difficoltà nel descrivere le proprie emozioni;
pensiero orientato all'esterno.
Possono essere utili anche i classici Rorschach e T.A.T.
CONTINUA NEL NUMERO CIP 10