L’incidente di Fiumicino - I soccorsi arrivati sul posto - Conosco Imparo Prevengo

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L’incidente di Fiumicino - I soccorsi arrivati sul posto

Archivio > Aprile 2008 > Psicologia delle emergenze

C.I.P. n. 4 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE

I soccorsi arrivati sul posto
Un Vigile del Fuoco del Comando Provinciale di Roma

Il 26 febbraio mi trovavo a svolgere il servizio di boschiva presso la caserma di Fiumicino, quando arriva una chiamata per un incidente stradale. All'inizio non si hanno informazioni precise, quindi usciamo in fretta dalla caserma, come sempre succede, con non molta agitazione, essendo interventi che purtroppo accadono spesso.
Per strada iniziano ad informarci che l’incidente coinvolgeva più autovetture, prima ci dicono tre poi addirittura sei. Iniziamo a renderci conto della gravità della situazione e gli ultimi 5 km che ci separavano dal luogo sembrano essere lunghissimi.
Siamo la prima squadra ad arrivare sul luogo e ci rendiamo conto che la situazione è veramente complicata, ci accorgiamo subito delle persone riversate dentro il fossato, vicino alla fermata dell’autobus.
In squadra siamo cinque persone, il capo squadra deve saper valutare subito come intervenire, lì è stata una scelta difficile, di fronte a quella scena si ha un attimo di smarrimento e ti chiedi: "ora che faccio? Chi inizio ad aiutare?"
Al nostro arrivo è questo lo scenario: sei persone nel fossato, una in mezzo alla strada tutta raggomitolata, sei autovetture coinvolte nell’incidente, in quattro delle quali vi erano delle persone incastrate e una donna poggiata al muro e piena di sangue.
Decidiamo di intervenire prima con le persone che sono nel fossato, ci accorgiamo che per alcune non c’è più nulla da fare mentre una ragazza ancora era viva, ed è verso di lei che indirizziamo le prime ambulanze che arrivano sul posto. Abbiamo poi la notizia che la ragazza, trasportata in elisoccorso, morirà all’arrivo al pronto soccorso.
In questi momenti c’è un grande frastuono intorno ma, dentro di me invece, regna un grande silenzio, sento il vuoto.
Gli altri colleghi intanto soccorrono i feriti della Fiat Stilo e della Seicento, mentre noi cerchiamo di soccorrere la bimba rumena, rimasta sotto delle palanche e sopra di esse c’era la Yaris. Si vede solo la faccia della bambina, non sappiamo quanto è ricoperta dal fango e se vi sono altre persone, questo rende ancora di più difficili le nostre operazioni di recupero e soccorso.
Nel frattempo arriva un’altra squadra di colleghi che ci dà una mano. Arriva anche il comandante che, dopo aver valutato l’intervento e compreso il nostro disagio, ci dà il permesso di rientrare.
Appena siamo arrivati sul luogo restiamo sorpresi da quello che abbiamo trovato e, dopo un primo momento di smarrimento, tutto inizia e venire in modo istintivo. Le persone che troviamo sul posto, che abitano lì vicino ed sono scese a dare i primi soccorsi, hanno nello sguardo una rassegnazione forzata, non si capacitano di quello che è successo. Di solito, ci adoperiamo a proteggere i feriti, mentre quel giorno non ci siamo riusciti, abbiamo lasciato spazio alle persone che si trovavano già lì. Ricordo ancora il viso della signora che abita di fronte al luogo dove è avvenuto l’incidente, ripeteva che aveva appena salutato la nipote che stava andando a scuola e ora… cos’è successo?  
Rientrati in caserma continui a sentire dentro di te una sorta di smarrimento, ti tornano in mente quelle scene, dei fotogrammi che scorrono e che non si dimenticano. Pur avendo alle spalle 23 anni di servizio, durante i quali sono tante le situazioni che vivi, è pesante fisicamente e psicologicamente, affrontare questa situazione. Per giorni ne ho parlato con i colleghi.
Di solito, dopo ogni intervento discuti con loro, confronti idee e sensazioni, metti tutto dentro un sacco che chiudi e porti come bagaglio di esperienza. Non porti a casa queste cose perché possono avere delle ripercussioni sui rapporti, cerchi sempre di lasciare le sensazioni vissute al lavoro. Questa volta, è più difficile farlo, non posso condividerlo con i colleghi della squadra di servizio di quel giorno, quindi mi è mancato parlare e condividere quello che ho vissuto.
Ripensi le scene, senti un senso di rabbia, verso chi non si sa, misto ad impotenza. Poi dici, a te stesso, che non si può avere la bacchetta magica e che di meglio non si poteva fare.


 
 
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