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C.I.P. n. 10 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE
ITALIAN MISSION HAITI 2010
L’esperienza del Gruppo Comunale di Protezione Civile di Bastia Umbra. Volontari nello spirito, professionisti nell’operare
Mariano Largher
Ingegnere
Primi giorni di febbraio, solita giornata di lavoro in ufficio, sguardo concentrato sullo schermo di un pc. Il silenzio è rotto all’improvviso da un telefono che squilla, dall’altra parte la Regione Umbria, Servizio di Protezione Civile. Il Dipartimento Nazionale richiede alcuni volontari da inviare ad Haiti, per supportare la missione italiana impegnata a Port au Prince. Pronti a partire entro 5 giorni.
Queste le poche informazioni all’inizio in nostro possesso, ma ci sono sembrate così tante, che abbiamo subito risposto "si, siamo disponibili".
Passano le ore, la macchina organizzativa si mette in moto e, dopo aver predisposto tutto il necessario, partiamo per Haiti il 17 febbraio 2010.
Gli aiuti umanitari inviati dall’Italia comprendono anche un grande quantitativo di tende della Protezione Civile, destinate all’allestimento di tendopoli per il ricovero della popolazione.
Noi queste tende le conosciamo bene. Da anni, infatti, siamo impegnati e specializzati come Gruppo Comunale di Protezione Civile di Bastia Umbra, proprio nell’allestimento di tendopoli di emergenza. Organizziamo e partecipiamo periodicamente a corsi dedicati esclusivamente al montaggio tenda e, nel 2007, abbiamo anche realizzato un filmato dal titolo "Linee guida per il montaggio della tenda ministeriale PI 88".
Crediamo profondamente che questa attività sia ancora oggi di fondamentale importanza, poiché rappresenta la prima forma di assistenza alla popolazione, indispensabile in catastrofi di medie e grandi dimensione.
Dopo quasi due giorni di viaggio, siamo arrivati a Port au Prince.
La prima impressione è stata di essere giunti in una realtà dove il sisma aveva definitivamente distrutto quello che era già, di per sé, molto precario.
L’emozione è stata fortissima. Avevamo di fronte a noi una povertà, una dignità e una ricchezza umana che nessuna immagine televisiva poteva spiegare.
Abbiamo alloggiato presso il campo base della missione italiana, situato all’interno degli spazi messi a disposizione dall’ospedale pediatrico Saint Damien, sostenuto e finanziato dalla Fondazione Francesca Rava.
A questo campo fanno riferimento anche gli Istituti religiosi e le Organizzazioni non Governative italiane e straniere, attive ad Haiti già prima del terremoto.
Da qui il Dipartimento della Protezione Civile coordina le attività delle forze italiane che partecipano ai soccorsi.
Mezzi, strumentazioni, tecnologie e soprattutto uomini e donne altamente specializzati: Aereonautica, Esercito -Battaglione San Marco e Genio Guastatori-, Marina Militare, Vigili del Fuoco, medici volontari per l’ospedale da campo e anche noi, volontari della Protezione Civile. Professionisti, ma anche persone, con le quali ogni sera, in gruppo, abbiamo discusso delle strategie da adottare e del lavoro da organizzare per il giorno dopo.
Sveglia alle 06:30, colazione al campo, preparazione dell’attrezzatura e alle 08:00, quando il sole già scotta sulla pelle, partenza verso i cantieri, attivati già da qualche giorno.
Le squadre di intervento sono generalmente miste, civili e militari insieme, sia per motivi di sicurezza, che di disponibilità di mezzi di trasporto e strumenti di lavoro. Nonostante la presenza di molte forze armate straniere, l’aria che si respira tra la popolazione locale è di totale tranquillità e fiducia, soprattutto nei confronti degli italiani. La maggior parte dei nostri militari, infatti, lavora senza armi e trascorre molto del proprio tempo a interagire con le persone del luogo.
Il secondo giorno, siamo stati inviati per la prima volta nella zona di Waf Geremy, con il compito di avviare un nuovo cantiere. Si tratta di un’area molto particolare, dove mancano anche i servizi essenziali e regna la povertà più assoluta.
Ci accoglie Suor Marcella, che da anni presta qui la sua opera. Grazie a lei, ora esistono un ambulatorio, una scuola e la speranza di un futuro migliore. Per questo quartiere, infatti, ha sviluppato un progetto di riqualificazione a lungo termine, al quale anche l’Italia ha deciso di dare il proprio contributo.
Il nostro primo compito è stato quello di istruire le persone del posto a montare una tenda in autonomia. E’ in questo gesto, più che in altri, che abbiamo potuto sentire la forza del volontariato e la straordinaria bellezza di questa esperienza.
Un solo sorriso è bastato per entrare in contatto con la popolazione locale. Bambini, ragazzi, adulti e anziani ci hanno circondato in pochi minuti, imparando rapidamente la tecnica di montaggio, nonostante i 36° gradi e un tasso di umidità per noi quasi insostenibile.
Nel giro di qualche ora, libretto di istruzioni alla mano, sono loro a verificare le tende, a controllare lo schema di montaggio e ad assicurarsi del corretto posizionamento di tutti i pezzi.
Dopo qualche giorno, sono diventati più precisi e pignoli di noi. Ci hanno accolto, siamo riusciti, in brevissimo tempo, a trasferire delle conoscenze preziose per la loro esistenza.
L’organizzazione del lavoro prevede che ogni 3 ore si interrompano le attività per cambiare zona. E’ solo in questi momenti di pausa, quando ci spostiamo e siamo soli sui nostri mezzi, che possiamo dissetarci. L’acqua è un bene raro e, sebbene non ci sia mancata, nessuno di noi ha avuto coraggio di bere in pubblico, sapendo di non averne abbastanza per condividerla con tutti.
Il tempo scorre intensamente e il rientro al campo base, alle 17.30, arriva sempre in fretta. Ma la giornata non è finita. E’ in questo momento che veramente si rafforza lo spirito della missione.
Ad attenderci troviamo i bambini. Cristopher, Valery, Jerry, Hubens, Filin e tanti altri che attendono di essere operati, medicati, o che vengono ad assistere un loro fratello ricoverato. Basta poco. Una partita di batti mani, un gioco al cellulare, una lezione di traduzione da inglese a creolo (la loro lingua), una riparazione alla foratura della bicicletta, due chiacchiere e qualche curiosità sul loro stile di vita.
Tanti sorrisi, voglia di stare insieme e condividere le cose semplici.
Il giorno dopo si ricomincia. Altri materiali da consegnare, altri cantieri da visionare, e quelli già avviati da seguire e portare avanti.
Alla fine della missione, quando purtroppo il tempo a nostra disposizione è finito, Luigi D’Angelo, il capo della missione del Dipartimento della Protezione Civile, sintetizza così l’opera italiana:
"Abbiamo allestito oltre 900 tende in 9 zone della capitale che rappresentano un tetto per più di 15 mila persone. Cento tende sono state destinate alle attività scolastiche e ospitano 30 bambini, ognuna per due turni di insegnamento. Altri sforzi sono destinati alle strutture ospedaliere, che lentamente stanno tornando alla normalità. In questo momento stanno operando Italia, Francia, Spagna, Stati Uniti e Canada. Tutti insieme per risolvere problemi che il terremoto ha solo acuito, ma che sono la costante di un’isola che per molti aspetti non è stata mai costruita".
Allestimento tende da campo.
Siamo ripartiti il 9 marzo, lasciando il posto a nuove squadre di volontari italiani.
Si è concluso il nostro turno, ma non sono finiti i nostri pensieri e le nostre domande. Siamo riusciti ad aiutare veramente queste persone? Potevamo fare di più? La stessa emozione del primo giorno, lo stesso peso al cuore ci assale al momento della partenza, quando quello che abbiamo fatto per 20 giorni ci è sembrato un granello di sabbia nel deserto.
Soccorritori e soccorsi
Ma appena decollati da Port au Prince, la vista dall’alto della tendopoli di Waf Geremy, un piccolo villaggio ordinato e colorato, dove 15 giorni prima c’erano solo sporcizia e confusione, ha fornito la risposta ad ogni nostra domanda e ci ha riempito di orgoglio e soddisfazione.
Per maggiori informazioni:
Roberto Raspa e Francesco Repola, volontari del Gruppo Comunale di Protezione Civile di Bastia Umbra (PG)
www.procivbastia.com – www.civilino.it