Il trauma tra socialità e individualità - Conosco Imparo Prevengo

PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE, PROTEZIONE CIVILE, SICUREZZA, TERRITORIO
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Il trauma tra socialità e individualità

Archivio > Aprile 2011 > Psicologia delle emergenze

C.I.P. n. 13 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE
IL TRAUMA TRA SOCIALITÀ ED INDIVIDUALITÀ
Lucio Maciocia
Psicoterapeuta, Responsabile U.O. Dipartimento 3D , A.U.S.L./FR

L’intervento metterà in connessione gli aspetti terapeutici emersi durante l’esperienza con il gruppo degli studenti di Monte San Giovanni Campano coinvolti nel terremoto dell’Aquila e la rispondenza sociale nel gruppo comunitario del "terremoto".
L’iscrizione nell’inconscio individuale della "catastrofe" trova una sua rappresentazione mitica e fattuale nella collettività e nei meccanismi difensivi. Quanto accade nell’individuo trova espressione anche nella socialità, anzi i meccanismi di rimozione sociale diventano essi stessi protagonisti e motori di processi psichici avvertiti dal singolo come problematici e "impossibili" da pensare. L’onnipotenza del pensiero e delle difese narcisistiche non aiutano il processo di "pensabilità": il terremoto resta un elemento Beta (Bion) non trasformabile. Il processo creativo e generativo della "catastrofe" viene negato per produrre malesseri e inadeguatezze individuali.

Lo straniamento e disorientamento profondo dovuto all’impotenza causata dalla grande paura si consolida nella progressiva constatazione che si è costretti ad un ruolo passivizzante in cui sembra non esserci spazio per alcuna azione riparatrice, che non sia quello delle cerimonie in ricordo delle vittime. Quanto è successivamente avvenuto, al momento del superamento della crisi, ne è una esemplificazione. Paradossalmente l’efficienza dei soccorsi ha completamente passivizzato le vittime del terremoto, relegandole in un ruolo di semplici spettatori. Il trauma della sciagura si è prolungato nel tempo attraverso la passivizzazione delle vittime di cui lo stato si occupa. L’Aquila è diventato un grande teatro attraverso cui il mondo ha potuto ammirare la solerzia dei potenti del mondo. Lo spettacolo richiedeva che le popolazioni aquilane restassero in attesa del provvidenziale intervento dell’autorità. Rispetto al passato l’autorità ha immediatamente assunto volti noti e pubblici; la bontà del potente ha confermato la passività del bisognoso. Il trauma si è prolungato nel tempo attraverso la conferma della passività del ruolo della vittima. Anche la città dell’Aquila sembra essersi fermata alla notte del terremoto, tutto è rimasto com’era, immobile e disabitato, deserto e desolato. La città si è persa in quartieri decentrati, la collettività e l’identità del luogo ha subito due enormi traumi: prima il terremoto, poi la ricostruzione che ha ignorato ogni storia a favore della "new town", il nuovo che avanza e che passivizza. Spettatori inerti dello sfacelo del proprio passato, destinata ad acclamare o protestare e/o imporsi con la forza.

I ragazzi che hanno fatto parte dei nostri gruppi terapeutici sembrano essere emblematicamente partecipi di questo dramma: sconvolti e feriti, spaventati e mortificati dal fatto che non tutti ce l’hanno fatta, hanno dovuto, in qualche modo, elaborare una rabbia che, mentre cresceva nella consapevolezza dell’evento, non sembrava trovare terreno di trasformazione nella vita quotidiana. Tutto sembrava congiurare nel ripristino di una normalità.
Ma l’intensità dell’evento ed i danni che ne sono scaturiti sono ancora tutti lì, evidenti e incurati, piaga purulenta negata alla vista. E noi siamo stati accecati con lo spettacolo del nuovo che cancella in un sol colpo ogni dolore. "Cosa avete da disperarvi, che lo vogliate o meno, eccovi le vostre nuove case, eccovi la vostra nuova città". È però importa che le case siano sparse per un territorio vastissimo, che non ci siano collegamenti, che tutto quello che prima era L’Aquila non ci sia più, che le aule dell’Università siano rimaste vuote e che i capannoni industriali e le caserme, prima svuotatesi, si siano riempiti di nuovo: nuova classe sociale del nuovo che avanza.
L’Aquila è diventato il teatro di uno psicodramma negato, un enorme esperimento di intervento di emergenza, le cui finalità non necessariamente coincidono con le esigenze del dolore, del lutto, dell’individualità e della collettività. Le azioni riparative sono state fatte, neanche delegate perché nessuno ha potuto chiedere deleghe, da una entità altra dai protagonisti locali.
C’è qualcosa di profondamente perturbante in tutto questo. L’Italia è terra di terremoti, l’emergenza sismica in Italia non può esistere, è contemplata di per sè. A L’Aquila non c’era nessuna emergenza, erano già 4 mesi che gli aquilani e gli studenti convivevano con il terremoto. Come dimostra la storia d’Italia, dalle sciagure naturali si può guarire e si può ripartire.


 
 
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