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Bambini in tendopoli

Archivio > Aprile 2011 > Psicologia delle emergenze

C.I.P. n. 13 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE

BAMBINI IN TENDOPOLI
Lavoro e scambio relazionale con un bambino nel campo di San Vittorino (AQ)
Michele Grano

Psicologo dell’educazione e dell’età evolutiva, socio Psic-AR (Psicologi dell’Emergenza Alfredo Rampi)


I bambini in emergenza hanno bisogno di essere protetti e guidati attraverso la creazione di ambienti sereni e legami supportivi mirati a ridurre le paure e ridare un senso di sicurezza. Grazie agli interventi dell’Associazione Psic-Ar la tendopoli di San Vittorino (AQ) si è trasformata per loro in un luogo sicuro in cui poter tornare gradualmente ai ritmi della quotidianità, attraverso il gioco, lo studio e la condivisione con i pari, attività proposte da adulti esperti nel comprendere e contenere le loro reazioni emotive e nel comunicare adeguatamente con loro e con le loro famiglie. Vorrei condividere, in particolare, l’esperienza di lavoro e scambio relazionale con un bambino di 8 anni (che chiameremo Luca), di grande interesse per i riverberi professionali e l’intensa condivisione affettiva.

L. è figlio di una ragazza-madre. Ha incontrato il papà in occasioni sporadiche. Circa due anni fa la mamma si è trasferita con un uomo da cui ha avuto una bambina, lasciando L. con i nonni ed escludendolo dal nuovo nucleo familiare. L. è un bambino vispo, curioso, intelligente. Nell’immediato post terremoto ha manifestato sintomi tipici dei disturbi post-traumatici infantili: difficoltà a dormire, paura del buio e di andare al bagno da solo, espressione limitata di affetti. Una settimana dopo il terremoto il suo pappagallino verde è inspiegabilmente volato dalla gabbia e L. è scoppiato in un pianto inconsolabile. Alcuni dei nostri colleghi gli hanno regalato un altro pappagallo, ma dopo qualche giorno anche quest’animaletto è morto, dimenticato di notte nell’atrio della tenda. Inoltre, abbiamo appreso dalla nonna che qualche tempo prima del terremoto anche il gattino di L. è scappato di casa, episodio vissuto dal bambino con grande dispiacere.

Come si evince dalla breve anamnesi, il trauma del terremoto si è andato a innestare su una serie di gravi traumi e microtraumi relazionali accumulatisi nel corso dello sviluppo, evocando difficoltà pregresse e riattivando ferite che hanno segnato la sua vita passata. Il bambino vive un "trauma cumulativo", difficile da contattare e superare perché multiplo e complesso, e che si riflette nella sua inespressività emotiva. Di fronte a tali criticità, egli mette in atto alcuni tentativi di fronteggiamento:
Se non consideriamo casuale il ripetersi delle perdite di animali a lui cari, possiamo ipotizzare che in qualche modo sia Luca, inconsciamente, a "far avvenire" le morti attraverso inconsapevoli negligenze. Tale coazione a ripetere (Freud, 2006, pp.193-194) è messa in atto nel tentativo inconscio di esorcizzare e dominare i traumi: reiterandoli attraverso forme indirette e accettabili può "permettersi" di contattare un dolore altrimenti troppo angosciante. Tuttavia si tratta di un meccanismo disfunzionale di fronteggiamento, poiché, pur permettendo un contatto indiretto con l’area traumatica e parziale espressione emotiva, ha una valenza inadeguata e riduttiva.
Una modalità più adattiva di risposta al trauma è rappresentata da un gioco che Luca ha inventato insieme a me durante i giorni di permanenza al campo:

L. era un capitano ed io il suo alleato. Insieme dovevamo portare un importantissimo tesoro che avrebbe salvato l’umanità (rappresentato da un pallone che ci lanciavamo evitando che cadesse nella lava o in territori nemici). Durante il percorso affrontavamo vulcani e deserti abitati ogni volta da nuove creature mostruose: api giganti, tirannosauri, scorpioni e orsi polari… L. si lanciava contro di loro affrontandoli con coraggio, colpendoli di volta in volta con le sue mani o chiedendo a me di passargli degli oggetti magici che l’avrebbero aiutato.

Il gioco, che univa aspetti immaginativi e dinamici, ha avuto valenza positiva per almeno due motivi:
Uno legato al valore dell’esperienza ludica in sé: attraverso la creatività ludica il bambino «parla di sé, rievoca in sé la sua realtà esperienziale, la comprende, contribuisce a modificarla nella forma e nei contenuti» (Crocetti, 2007, p.34); l’immaginazione in movimento è un potente mezzo espressivo che lo aiuta ad armonizzarsi con le sue emozioni e i suoi desideri. Le angosce e le difficoltà prendono forma di mostri spaventosi, che però possono essere sconfitti ricorrendo a superpoteri o ad alleati vincenti: in questo modo può contattare e dare vita ai suoi stati interni più preoccupanti.
Di grande rilievo è poi la valenza relazionale del gioco, momento di intenso scambio comunicativo e affettivo, che attiva potenti dinamiche transferali poiché è «soprattutto creazione di legami o ricreazione di legami danneggiati o persi» (ibidem, p.35). Inoltre, nel quadro interattivo del gioco, «il bambino si affida all’adulto al fine di riacquistare la fiducia in sé» (Di Iorio e Biondo, 2009, p.165) e così fortifica la propria autoefficacia ed autostima.
I miei vissuti sono stati di grande partecipazione emotiva, grazie alla disposizione a contattare la mia dimensione "bambina" – rivelatasi efficace chiave relazionale nonché prezioso strumento terapeutico (Mills e Crowley, 1988, p. 40) – unita alla cura nel monitorare gli aspetti più salienti. Ho provato momenti di difficoltà quando bisognava interrompere il gioco: Luca non avrebbe mai voluto smettere e continuava a prospettare numeri astronomici di avventure. Percepivo che, oltre al divertimento, non voleva rinunciare alla relazione e a quel processo di riparazione profonda di legami spezzati. Prima che lasciasse il campo, tuttavia, ho sentito di dare un senso finale alle nostre creazioni, e al nostro rapporto, così ho indirizzato il gioco verso la conclusione: il tesoro è stato collocato al suo posto, l’umanità è stata salvata e Luca mi è saltato al collo, felice per il traguardo raggiunto.


Dott. Michele Grano

Va ricordato che Luca dispone anche di fattori protettivi, importanti risorse per fronteggiare crisi e sofferenze: innanzitutto risorse sociali, rappresentate dalle cure amorevoli dei nonni, i quali sanno accogliere esigenze e domande del piccolo, anche quelle legate ad esperienze negative e turbanti. Dal punto di vista personale, oltre all’inventiva e all’intelligenza viva, Luca ha strutturato ingegnose strategie di auto-protezione psichica, qui sintetizzate in un episodio caratteristico: una sera ha chiesto ai signori che suonavano intorno al falò di eseguire la ninnananna di Brahms, poi è andato a dormire contento; chiedendo spiegazioni alla nonna, ho scoperto che da piccolo amava addormentarsi con un carillon che suonava proprio quella melodia... Per continuare a potenziare tali aspetti adattivi, oltre a confrontarmi sui problemi del nipote, ho discusso spesso delle sue potenzialità con i nonni, con la consapevolezza che ogni intervento in emergenza «dovrebbe focalizzarsi sulla forza per fronteggiare e sul benessere psicosociale, non solo sul dolore e sulle ferite. Quindi concentrarsi sulla crisi come una potenziale opportunità di sviluppo» (Kapor-Stanulovic, 2002, p.98).


Bibliografia
Crocetti G.  (2007), Il gioco del bambino, in  Crocetti G., Pallaoro G., Manuale di pratica clinica e teoria della tecnica. Infanzia, Roma, Armando, pp. 33-36.
Di Iorio R., Biondo D. (2009), Sopravvivere alle emergenze, Roma, Magi.
Freud S. (2006),  Al di là del principio di piacere, in Opere di Sigmund Freud. 12 voll., Torino, B. Boringhieri, pp. 173-251.
Kapor-Stanulovic N.  (2002), Emergenze internazionali. La mia esperienza in Kosovo, in  Lo Iacono A. ,  Troiano M . (Edd.), Psicologia dell’emergenza, Roma, Ed. riuniti, pp. 91-104.
Mills J. C., Crowley R. J.  (1988), Metafore terapeutiche per i bambini, Roma, Astrolabio.




 
 
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