Esercitazione congiunta N.O.A.R.-C.A.R.: un’esperienza a confronto - Conosco Imparo Prevengo

PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE, PROTEZIONE CIVILE, SICUREZZA, TERRITORIO
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Esercitazione congiunta N.O.A.R.-C.A.R.: un’esperienza a confronto

Archivio > Agosto 2007 > Esercitazioni

C.I.P. n. 2 - ESERCITAZIONI

ESERCITAZIONE CONGIUNTA N.O.A.R. – C.A.R.
Un’esperienza a confronto

GLI ASPETTI TECNICO-OPERATIVI (N.O.A.R.)
Daniela Masino
(Consigliere Nucleo Operativo Alfredo Rampi)


Nei mesi scorsi, il Nucleo Operativo Alfredo Rampi e gli Psicologi dell'Emergenza del Centro Alfredo Rampi, hanno svolto la loro prima esercitazione congiunta, nella previsione di interventi di soccorso in sinergia.
Un efficace soccorso in emergenza deve saper rispondere a tutte le esigenze primarie: la sopravvivenza e la cura sia fisica che psicologica. Mentre di quest’ultima si occupa il gruppo di psicologi dell'emergenza, il N.O.A.R. ha testato le sue capacità di intervento nella parte tecnica dell’esercitazione che assume il valore di formazione e addestramento.
Un’attenta organizzazione da parte di formatori ad hoc, ha rappresentato uno scenario preliminarmente sconosciuto ai volontari sia del N.O.A.R. che agli psicologi dell’emergenza del Centro Rampi. I volontari, riuniti in una sala operativa, sono stati attivati, dalle autorità competenti, tramite l’arrivo di un fax che, informava loro dell’avvenuto crollo di un edificio, a seguito di esplosione e chiedeva l’intervento degli operatori di protezione civile.
Al loro arrivo sul luogo dell’evento, i volontari Noar hanno trovato dinanzi a sé uno scenario drammaticamente realistico: la simulazione del crollo di un edificio che ospitava numerosi uffici, posto nelle adiacenze di una scuola, pericolante a seguito delle esplosioni, con conseguente necessità di intervento di emergenza, attraverso il soccorso dei feriti che giacevano tra i cumuli di macerie nonché di intervento di prevenzione mediante l’allontanamento degli occupanti degli edifici adiacenti.
Primo compito degli operatori N.O.A.R.. è stato quello di distinguere, tra i soggetti coinvolti nel crollo, coloro che erano solo spaventati ma non avevano riportato alcun tipo di ferite da quelli lievemente feriti a quelli che necessitavano di cure immediate: una prima selezione delle vittime con conseguente allerta del 118 per l’allestimento del punto medico avanzato e il primo soccorso in attesa dell’arrivo del pronto soccorso medico specifico, disponendo nella posizione laterale di sicurezza coloro che erano lievemente feriti, provvedendo alla rianimazione di coloro che non avevano più il battito cardiaco, bloccando arti fratturati o emorragie in corso. Emersa, durante le attività di soccorso, l’esistenza di un ambiente seminterrato nel quale era prevedibile la presenza di feriti, accessibile esclusivamente attraverso un tunnel di circa 6 metri di lunghezza e del diametro di circa 60 cm, ostruito da materiale e detriti, gli operatori N.O.A.R, indossando oltre ai consueti dispositivi di protezione individuale (maschere antigas) e investiti peraltro da getti d’acqua che fuoriuscivano dalle tubature interessate dall’esplosione, calandosi nel tunnel, hanno provveduto a soccorrere e liberare quanti rimasti intrappolati, portando così a compimento l’intera operazione di soccorso.
Al termine dell’esercitazione, i volontari del N.O.A.R., stanchi ma soddisfatti del proprio operato, hanno effettuato un’analisi dettagliata delle diverse fasi dell’esercitazione, finalizzata all’individuazione delle modalità operative più efficaci nonché un momento di confronto con gli psicologi dell’emergenza, allo scopo di imparare a riconoscere e gestire le tensioni emerse nel corso dell’intervento.
L’addestramento attraverso le esercitazioni rappresenta un momento essenziale nella formazione del volontario, utile a mettere in pratica quanto appreso in forme teorica, testando "sul campo" le proprie capacità e attitudini e acquisendo quella maggiore consapevolezza di sé che permette di affrontare e superare i momenti di difficoltà e/o criticità non solo in previsione di un intervento in emergenza ma anche nei piccoli/grandi eventi del quotidiano, nell’ambito di un’apertura verso gli altri che senza mai essere invadente rientra nella forma mentis del volontario di protezione civile: in caso di necessità, essere pronto a intervenire, fornendo il proprio contributo al fine di prevenire il verificarsi di un’emergenza agendo preventivamente sui fattori di rischio o, nel caso dell’imponderabile verificarsi di un evento, adoperarsi  per il superamento dell’emergenza, la messa in sicurezza e il superamento della fase di emergenza stessa attraverso il ripristino delle condizioni di normalità.


Una psicologa dell'emergenza tranquillizza una vittima colta dal panico nell’ambiente seminterrato mentre operatori di protezione civile soccorrono un ferito


Gli operatori sono riusciti a estrarre la vittima dall'ambiente seminterrato e provvedono al trasporto presso il punto medico avanzato


Gli operatori tirano la barella del ferito che era rimasto bloccato nell'ambiente seminterrato riuscendo a porlo in salvo




GLI ASPETTI PSICOLOGICI (Centro Alfredo Rampi) - Psicologi dell’Emergenza alla prova in una zona off-limit
Chiara Budini
(Dottoressa in Psicologia dell’Educazione e dello Sviluppo)

L’intervento psicologico in situazioni di emergenza è un ambito abbastanza nuovo e particolare della psicologia. L’importanza di sostenere psicologicamente le vittime di un evento calamitoso per evitare l’evoluzione di un DPTS è ormai accertata. Non è altrettanto chiara, invece, la modalità migliore per intervenire sul luogo della crisi per prestare soccorso psicologico preservando da una parte l’incolumità psichica e fisica degli stessi soccorritori, dall’altro l’efficiente e veloce intervento dei soccorsi medici. Analogamente è necessario un intervento che tenga presente lo scenario dell’emergenza per indirizzare meglio gli aiuti senza, tuttavia, che la crudeltà delle immagini infici l’efficienza del soccorso psicologico.
Alcune delle domande che più frequentemente ci si pone in qualità di psicologi sono: Quali scenari dobbiamo immaginare per un soccorso psicologico nell’emergenza? A quali immagini, rumori, odori sono sottoposti le vittime e i volontari coinvolti in un’emergenza? È sufficiente che il soccorso psicologico arrivi solo una volta che le persone giungano alla postazione psicologica? Non saremmo più utili se potessimo intervenire direttamente sul luogo del crash al fianco della protezione civile e del personale medico o almeno in una postazione psicologica avanzata? È necessario per essere Psicologi dell’Emergenza, avere una formazione di base simile a quella dei volontari della Protezione Civile? In che modo si possono affiancare durante le operazioni di soccorso questi professionisti?
Per trovare risposta a queste domande è importante che gli psicologi abbiano la possibilità di intervenire in situazioni di crisi simulate per mettersi alla prova.
È in questa ottica che il NOAR, Nucleo Operativo di Protezione Civile del Centro Alfredo Rampi ha coinvolto gli Psicologi dell’Emergenza dello stesso Centro in una simulazione d’intervento.
L’esercitazione richiedeva ai volontari del NOAR di intervenire in seguito al crollo di una palazzina dovuto a una fuga di gas. Al loro fianco è stato richiesto l’intervento degli psicologi, sia nel sostegno dei parenti delle vittime e dei sopravvissuti meno gravi, sia nella stessa zona rossa, al fianco di sopravvissuti in attesa dei soccorsi, colti dal panico, impauriti e preoccupati, sia dei volontari stessi, talvolta spaventati dalle difficoltà fisiche ed emotive cui erano sottoposti.
Gli psicologi si sono repentinamente organizzati in sotto gruppi scoprendo ben presto la necessità di agire individualmente per poter rispondere a tutte le richieste di soccorso.
La gestione dei parenti di coloro che erano rimasti sotto le macerie è stato uno dei primi compiti dell’equipe in attesa che fosse resa accessibile la zona rossa. Anche durante una esercitazione i sentimenti espressi dagli attori sono di una forza travolgente: disperazione, tristezza, domande esistenziali, rabbia, impotenza. Contenere questo fiume di emozioni negative si è rivelato incredibilmente stancante. Diversi psicologi sono rimasti con i parenti anche quando è stata resa accessibile e relativamente sicura la zona rossa. Altri invece sono scesi sul luogo dell’incidente trovandosi al fianco di vittime costrette ad aspettare i soccorsi tra le macerie. Nella postazione psicologica viene normalmente creata un’area protetta visivamente; sulla zona rossa manca anche il precario setting della postazione psicologica: tutto intorno alla vittima e allo psicologo manda messaggi di pericolo, di perdita e anche di morte. Solo il volto dello psicologo costituisce il setting protetto per la vittima; solo il suo contatto fisico costituisce una parete visiva che la protegge da tutto quello che la circonda. Queste osservazioni trovano conferma nelle parole delle persone soccorse sulla zona rossa e nella postazione medica dagli psicologi: costoro hanno apprezzato enormemente di non essere stati lasciati soli, di essere stati toccati nonostante fossero sporchi di sangue, di essere stati sollecitati a chiudere gli occhi e immaginare momenti felici. Questa conferma dell’importanza del sostegno psicologico prestato alle vittime il più a lungo possibile trova alcune resistenze soprattutto tra  soccorritori per i quali lo psicologo potrebbe essere d’intralcio, o un’ulteriore potenziale vittima. Rimane aperto l’interrogativo relativo alla professionalità che uno psicologo dell’emergenza deve portarsi sulla zona rossa: competenze mediche di base per avere un’idea del tipo di soccorso di cui ha bisogno il suo cliente? Una determinazione tale da indurlo a non lasciare sola la vittima con cui ha creato la relazione a costo di seguirla fino in ospedale? Una preparazione fisica tale da permettergli di raggiungere le persone incastrate in fondo a una fogna e parlare con loro collaborando contemporaneamente al loro soccorso fisico? Non sarebbe più facile formare i volontari della Protezione Civile a prestare un soccorso anche di tipo psicosociale?
I volontari, infatti, sono coloro che meglio raggiungono le vittime di una emergenza, con la loro esperienza e il loro altruismo, che non li esime dal vedere persone ferite e morenti, che non evita loro i conti con le proprie paure e i propri limiti, che non li protegge dall’identificarsi con un collega in difficoltà o in pericolo. Un turbine di emozioni che sembrano fuori luogo per una persona che vuole soccorrere le altre: la paura per la propria vita, per quella dei colleghi e per le vittime; l’impossibilità di salvare tutti, di essere sempre coraggiosi, di saper fare tutto; l’impotenza, la tristezza, la rabbia. Sono emozioni che possono cogliere un volontario anche durante i soccorsi ed egli potrebbe non accettarle, non riuscire a fronteggiarle o non poterselo perdonare. Può diventare un infamante segreto da non rivelare. Per prestare loro un adeguato sostegno psicologico è inutile intervenire nella zona rossa se non esiste un discorso preventivo a monte: formare i volontari perché conoscano a fondo se stessi, i propri limiti, il loro personale modo di vivere e fronteggiare la paura, la possibilità di parlarne senza timore, senza doversene vergognare. Una collaborazione preventiva con gli psicologi instaura un clima di fiducia al momento dell’intervento tale da permettere a uno psicologo di consigliare a un volontario di allontanarsi dalla zona rossa se eccessivamente turbato. Lo stesso clima di fiducia sollecita e rende produttivo il debriefing finale, durante il quale ciascuno è invitato a descrivere la propria esperienza per evitare di esserne traumatizzato. Forse è solo questo clima di fiducia che può rendere possibile allo psicologo di utilizzare la propria professionalità nella zona rossa al fianco delle vittime, senza essere di intralcio ai soccorritori.




Sostegno psicologico alle vittime sulla scena off-limit.


 
Sostegno psicologico ai familiari delle vittime.


Vittime del crollo dell’edificio


Come psicologi volontari possiamo incontrare gli stessi sentimenti dei volontari con diversa professionalità, durante il soccorso: possiamo voler fuggire per la paura di morire abbandonando, senza pensarci un attimo, la persona a cui abbiamo stretto la mano fino a un minuto prima, non riuscendo poi a perdonarcelo in seguito. Possiamo aver paura del buio o dei luoghi chiusi, possiamo essere colti da una infinita tristezza o dalla rabbia o da sentimenti di impotenza. Il nostro setting non è neutro. Lo psicologo somministra se stesso ai suoi clienti: cosa siamo in grado di offrire in una situazione che per primi ci mette alla prova?
La normale procedura dei soccorsi non consente allo psicologo dell’emergenza di agire sul cratere. I VVF sono i primi ad agire sul posto; quando ritengono di averlo reso sicuro permettono l’accesso al personale medico che trasporta i feriti nel posto medico avanzato. Solo in questo momento è permesso agli psicologi di intervenire, lontani dalla zona rossa, lontani da quei suoni, da quelle immagini e da quegli odori che hanno colpito le vittime e i volontari, e che gli psicologi possono solo immaginare dal loro racconto.
Per questo è importante poter simulare un intervento nella zona rossa per comprenderne la drammaticità, le condizioni in cui si trovano le vittime e in cui agiscono i soccorritori, per poterli sostenere meglio finché , se si riterrà necessario, una formazione più adeguata non permetterà agli psicologi dell’emergenza di scendere in prima linea.




 
 
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