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Emergenza Ventotene

Archivio > Agosto 2010 > Psicologia delle emergenze

C.I.P. n. 11 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE
EMERGENZA VENTOTENE
Intervento alla Scuola Anna Magnani di Morena
Alessia Rosa

Psicologa del lavoro e delle organizzazioni,Socio Psic-AR(Psicologi delle emergenze Alfredo Rampi)


E’ sempre difficile mettere su carta gli interventi adottati sulla popolazione in situazione d’emergenza, ancor di più se il pensiero ritorna a quelle ragazze che hanno perso la vita in maniera così tragica, in un momento in cui tutti avevano abbassato la guardia perchè nessuno poteva immaginare.
Non è facile raccontare con distacco ciò che è accaduto, i ricordi, le sensazioni, la sofferenza.
Il cuore prende il sopravvento sulla mente.
Al centro del cortile della scuola Magnani di Morena, un grosso albero, tanti fiori, centinaia di bigliettini, uno striscione con scritto "Francesca e Sara per sempre le nostre stelle"… un capannello di ragazzi indecisi sul da fare.


Messaggi lasciati dai compagni di classe e dagli alunni della scuola elementare e media Anna Magnani di Morena

Nell’atrio il dispiacere di ciò che è accaduto e che non doveva accadere è dipinto sul volto di tutti i presenti.
Io e la dott.ssa Biondo ci mettiamo subito a disposizione.
Oggi 22 aprile in chiesa si terrà la messa. I ragazzi vogliono andare per stare insieme alle loro compagne ancora un pò, ancora una volta. Li accompagneremo!
I compagni di Sara e Francesca sono in classe. Per sentire meno dolore fanno gruppo e si fanno forza tra loro.
Arriva R. accompagnato dai genitori.
E’ sulla sedia a rotelle, il gesso alla gamba! Negli occhi ancora il terrore di quei momenti, il suo viso si illumina solo quando viene circondato dai compagni. Si rilassa ed inizia a scherzare con loro.
La mamma di R. si allontana, è pallida, gli occhi rossi, trattiene a fatica le lacrime.
Mi avvicino a lei, parliamo  un pò, scoppia a piangere. Si sente fortunata ma nello stesso tempo non riesce a togliersi dalla testa e dal cuore la sensazione che sotto quel sasso poteva esserci il suo R. La sensazione di poter perdere suo figlio la terrorizza.
Trovo a fatica le parole per tranquillizzarla.
Spesso mi domando se ci siano parole giuste o sbagliate da utilizzare in queste situazioni, spesso penso che l’unica cosa da fare è essere visibili ed invisibili nello stesso tempo.
La conversazione viene interrotta dal padre di R.
E’ ora di andare.
Assieme a qualche professore e alla mamma di uno dei ragazzi, clown dell’Associazione CPC AR, accompagniamo gli alunni della III A e III E in chiesa dove è allestita la camera ardente.
Giornalisti, forze dell’ordine, volontari di protezione civile, curiosi si mischiano a familiari in lacrime, amici, compagni di classe di Sara e Francesca che depongono un fiore, un bigliettino, un pupazzo sulle loro bare bianche.
Io e Maria rimaniamo con i ragazzi fin dopo la cerimonia religiosa.
Perdere un figlio è una cosa illogica, incomprensibile, inaccettabile, innaturale.
Chi perde i genitori viene chiamato orfano, chi perde il proprio coniuge viene chiamato vedovo o vedova.
Non c’è nessun termine da utilizzare per chi perde un figlio…
Tornati a scuola veniamo subito contattate dalle insegnanti della scuola elementare frequentata dai fratellini di Sara e Francesca.
Troviamo 22 bambini di quinta elementare in lacrime.
Singhiozzanti, disperati perché preoccupati e dispiaciuti per l’accaduto.
Conoscevano tutti più o meno bene Sara e Francesca, le vedevano dalla finestra della classe quando entravano o uscivano da scuola. Sono dispiaciuti, addolorati perché non sanno e non possono essere di conforto a E. fratellino di una delle due ragazze morte e loro compagno di classe.
Ho pensato fosse giusto, in una situazione del genere, adottare il metodo del Circle Time. Questo metodo ha lo scopo di, sia nelle classi delle scuole che in tutti i gruppi che abbiano uno scopo comune, aumentare la vicinanza emotiva e risolvere i conflitti.
Tale strumento si rivela particolarmente efficace per stimolare i  giovani ad acquisire conoscenza e consapevolezza delle proprie ed altrui emozioni, per gestire le relazioni sociali sia con i pari che con gli adulti.
Ho poi rispondendo alle loro domande nella maniera più sincera e meno dolorosa possibile, ho ascoltato i loro pensieri, le loro emozioni.
Grazie anche alla immensa dolcezza della loro maestra siamo riuscite a creare un clima tranquillo per quanto possibile in quella circostanza.
Verso le 14…io e Maria, provate nell’animo, siamo ritornate a casa.
Il giorno successivo a scuola non c’era quasi nessuno.
In classe troviamo i ragazzi della III A e della III E.
Parliamo un po’ con loro, qualcuno riesce anche a sorridere, per un attimo i pensieri, i ricordi, l’esperienza terribile vissuta solo pochi giorni prima, si affievoliscono.
Ci mettiamo d’accordo per andare tutti assieme il pomeriggio ai funerali.
Nel corridoio incontro uno dei due professori che hanno assistito all’incidente.
Sembra ancora molto provato ma cerca di non darlo a vedere. Sorride, mai suoi occhi sono tristi, lontani…
Decide di portare tutti in palestra, soprassedendo al fatto che i ragazzi non hanno le scarpe adatte per fare ginnastica.
La mattinata trascorre veloce…si attende solo che arrivi l’ora…l’ora dell’ultimo saluto a Sara e Francesca.
Io e Maria cerchiamo di organizzare l’arrivo in chiesa in modo da proteggere il più possibile i ragazzi ed i professori dall’assalto dei giornalisti.
Le 15…ora dell’incontro! I ragazzi, gli insegnanti, tutti uniti per un ultimo saluto alle loro "stelle".
Entriamo in chiesa circondati da due ali di folla e protetti dai volontari delle Protezione Civile e della Croce Rossa Italiana…


La sofferenza dei compagni di classe, degli amici, dei parenti per la morte di Sara e Francesca

I ragazzi sono provati…è il momento più duro!Il momento di lasciar andare Sara e Francesca.
La chiesa è gremita, mi guardo intorno, vedo accanto ai familiari delle due ragazze i colleghi Gabriella, Michele, Annarita e Maria Teresa. Un loro sguardo mi tranquillizza.
Al termine della funzione, con il passaggio delle bare, i ragazzi, fin a pochi istanti prima relativamente tranquilli, esplodono in un pianto liberatorio. Seguiamo le bare, le vediamo svoltare l’angolo e sparire…
Sul sagrato della chiesa io e Maria ci congediamo dai genitori e dai ragazzi.
Adesso si avverte solo il loro bisogno di voltare pagina senza però dimenticare, riprendere a vivere da 13enni, in maniera spensierata, ribelle.   
Sono passati mesi da quel terribile martedì mattina di fine Aprile ed ancora oggi ripenso ai ragazzi della III A e della III E, ai momenti trascorsi con loro, alle sensazioni, alle parole dette ed ai silenzi assordanti, al dolore che riuscivo a vedere a toccare e che alla fine è diventato anche un po’ mio.



 
 
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