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Il ruolo degli operatori del soccorso psicosociale

Archivio > Aprile 2007 > Protezione civile e volontariato

C.I.P. n. 1 - PROTEZIONE CIVILE E VOLONTARIATO

Il ruolo degli operatori del soccorso psicosociale
La preziosa e necessaria opera del volontariato per la salvaguardia della popolazione colpita dalle calamità
Rita Di Iorio
(Referente gruppo psicologi dell’emergenza dell’Ordine degli Psicologi del Lazio)

I Volontari, i professionisti dell’aiuto, sono tutte quelle persone che svolgono attività di supporto in ambito sociale, psicologico e medico e che operano all’interno delle istituzioni sia pubbliche che private.
Tra questi rientrano i Vigili del Fuoco, gli operatori e volontari della Croce Rossa ed altre organizzazioni di soccorso sanitario (Croce verde, Croce bianca, le Misericordie, ecc.), i medici, gli psicologi e gli infermieri del sistema sanitario nazionale, i volontari della Protezione Civile, il personale delle forze armate, delle forze dell’ordine e dei diversi Corpi istituzionali.
Tali soccorritori operano a favore delle vittime sopravvissute a disastri o ad incidenti, svolgendo il difficile compito di: 1) funzionare in modo sano all’interno di uno scenario dominato emotivamente dai sentimenti delle vittime, come dolore, sofferenza, disagio, conflitto e fragilità; 2) provare ad attivare nelle vittime capacità di recupero e di reazione positiva.
L’ intervento dei soccorritori ha lo scopo di aiutare fisicamente e psicologicamente le persone coinvolte in situazioni di emergenza.
Per questo motivo viene chiesto ai volontari sia dalle istituzioni che dalle popolazioni colpite di svolgere un complesso compito psicosociale. Compito per il quale non sempre i volontari, sono stati formati adeguatamente a svolgere con l’inevitabile rischio per il loro equilibrio psicologico.
Il volontariato è un impegno gratificante che dà ai supporter la possibilità di relazionarsi con gli altri, lavorare in gruppo, acquisire nuove tecniche, abilità e competenze.
Un impegno che ha un ruolo positivo nella formazione della personalità dell’individuo in quanto contribuisce ad aumentare la stima di sé, la capacità di collaborazione, la capacità di adattamento e di risposta immediata alle emergenze, la solidarietà e la condivisione del dolore degli altri, la fiducia nell’altro.
Le motivazioni che sono alla base della scelta di fare  volontariato possono essere di ordine religioso, umanitario, civile, di solidarietà ma a volte possono essere anche di ordine personale come una strategia di risposta a bisogni o istanze psichiche più o meno profonde: il bisogno di riparazione, la necessità di trovare una risposta ai propri sensi di colpa, il bisogno di riconoscimento sociale, la necessità di reagire al proprio senso di vuoto, o in alcuni casi  ad una depressione mascherata o non riconosciuta, il desiderio narcisistico di protagonismo.
Quando questi bisogni individuali non sono stati sufficientemente elaborati e riconosciuti dall’individuo difficilmente possono essere trasformati in risposte positive nei confronti dell’ambiente, e più facilmente possono creare serie difficoltà per il singolo soccorritore, per il suo gruppo di appartenenza e per gli stessi superstiti ai quali deve portare soccorso. I volontari lavorano a stretto contatto con le persone ferite, disperate ed operano in situazioni angoscianti e drammatiche che possono scatenare in loro stessi reazioni difficili da controllare, poiché tali situazioni evocano paure profonde sopite, ricordi spiacevoli rimossi, vecchi traumi mai digeriti, che possono disorientare e a volte destrutturare psicologicamente  in maniera seria e permanente.
Pearlman e Saakvitne (anno 1995,1996) hanno definito questa esperienza con il termine " traumatizzazione vicaria" ( Vicarious Traumatization).
Zuliani ( 2006) ha definito tale esperienza come una sorta di processo cumulativo attraverso il quale l’esperienza interna del soccorritore viene trasformata negativamente a causa del suo coinvolgimento empatico con l’esperienza traumatica della persona di cui si sta occupando.
Il soccorritore è sottoposto ad un trauma primario più che secondario che sorge da tutto lo scenario drammatico nel quale viene immerso o ai molteplici scenari che si trova ad  affrontare nei diversi anni d’intervento in emergenza.
Inoltre, occorre notare che mentre il superstite può sfogare i suoi sentimenti (dolore, rabbia, disperazione, aggressività, infelicità) il volontario non può farlo anzi, al contrario deve cercare di controllare ogni emozione possibile e cercare di attivare tutte le proprie difese mentali, non sempre adeguate allo scopo, per proteggere il proprio equilibrio psicologico e garantire l’efficacia del proprio intervento.
Quel che è certo è che l’opera del volontariato è preziosa e necessaria per la salvaguardia delle popolazioni colpite da calamità naturali o conflitti bellici o terroristici e da grossi incidenti. Proprio per il ruolo importante che svolgono, i volontari devono essere  adeguatamente preparati a proteggersi dalle conseguenze che possono scaturire, anche a distanza di anni, dopo un’emergenza.
Essi, dunque, prima dell’intervento devono essere adeguatamente formati per attivare nei superstiti le risorse personali necessarie per reagire al meglio alle conseguenze del trauma appena subito e per proteggere se stessi dagli effetti  traumatizzanti del proprio intervento di soccorso.
E’ da sottolineare che i volontari sono persone che quotidianamente svolgono interventi di solidarietà in caso di micro e macro emergenze. Questo fornisce loro un certo allenamento mentale ad affrontare situazione di elevato stress emotivo, che però non è sufficiente a metterli al riparo dai sintomi posttraumatici.
Infatti, consapevoli di ciò, gli stessi volontari avanzano la richiesta di essere aiutati ad affrontare il forte impatto emotivo a cui sono sottoposti  durante l'intervento di soccorso alle vittime delle calamità.
Durante il terremoto in Umbria del 1997 è stata esplicitata tanto dai volontari che dai soccorritori dei corpi istituzionali, forse per la prima volta nel nostro Paese, la richiesta di personale specializzato che potesse offrire un sostegno psicosociale alle persone colpite dall'emergenza e ai soccorritori stessi.
Più di ogni altro i soccorritori - siano essi appartenenti agli enti istituzionali preposti al soccorso siano essi volontari di protezione civile - sono consapevoli del fatto di essere impreparati a portare uno specifico soccorso psicosociale alle popolazioni colpite, e sentono di essere indifesi emotivamente di fronte alle situazioni drammatiche che in maniera prolungata devono sostenere.
E’ opinione condivisa in ambito scientifico che gli eventi calamitosi causino diversi disturbi psicologici (affettivi, comportamentali e psicosomatici).
Occorre, quindi, non dimenticare che l'emergenza di massa, la situazione di crisi in cui viene a trovarsi una comunità dopo il disastro, non è solo fisica ma anche psichica e sociale.
Immediatamente dopo la catastrofe, l'ansia dei soccorritori di rispondere a bisogni primari (come la sopravvivenza fisica delle vittime, il soccorso e la cura dei feriti, l'alimentazione, la protezione dalle intemperie dei sopravvissuti, ecc.) della popolazione colpita, porta a trascurare i bisogni psicologici: di risposta adeguata alle diverse manifestazioni psichiche alla catastrofe (ansia acuta, iperattività, paralisi emotiva ecc.), di sostegno umano ai feriti, di rapporto contenitivo con i sopravvissuti, di adattamento alle richieste delle fasce più fragili della popolazione colpita (bambini, anziani, handicappati), di aggregazione dei gruppi familiari.
ùIn realtà questi bisogni sono immediati e pressanti quanto quelli di tipo materiale, e se non vengono soddisfatti rischiano d’invalidare il lavoro dei soccorritori sul piano concreto e fisico, perché possono produrre gravi depressioni, comportamenti suicidari, angosce terrifiche che possono fare ammalare anche fisicamente i superstiti da catastrofe, aggravando così il numero delle vittime. I volontari e gli operatori del soccorso devono, dunque, essere messi in grado di svolgere adeguatamente questi compiti.
L'esperienza ha dimostrato che la presenza immediata, nei primi momenti della calamità, del volontariato di sostegno psicosociale rende possibile e facilita il rapporto con le persone, che grazie a questa presenza si sentono sostenute nell' immediato e nello steso tempo riconoscono il volontario come punto di riferimento autorevole durante e dopo l’emergenza. Quindi la presenza immediata nelle situazioni di calamità del volontariato di sostegno psicosociale, adeguatamente sostenuto da psicologi dell’emergenza, rappresenta il miglior antidoto contro lo svilupparsi di gravi sindromi posttraumatici.
Poter contare su un essere umano nel momento dello sconforto produce speranza e contrasta, di conseguenza, le reazioni di disperazione che inevitabilmente si possono attivare nel superstite.
La catastrofe produce tanto nelle vittime che nei soccorritori, quella sequela di gravi sintomi raccolti nella diagnosi del disturbo da stress post-traumatico.
(segue nel prossimo numero)


 
 
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