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C.I.P. n. 5 - PROTEZIONE CIVILE E VOLONTARIATO
IL PROGETTO MINGHA AFRICA
Sonia Topazio
(Ufficio Stampa INGV - Istituto Nazionale Geofisica Vulcanologia)
Mingha Africa è un'associazione costituita per portare aiuto sanitario a popolazioni del Cameroun.
Mingha-Africa è una Onlus (organizzazione non lucrativa di attività sociale) segue l'etica medica universale senza discriminazione alcuna di razza, religione, sesso o opinioni. Quattro giovani medici avviano il Progetto Mingha nel 2002 con la collaborazione del Dipartimento di Malattie Infettive e il supporto del Dipartimento di Scienze Cliniche del Policlinico UmbertoI.
Il medico Gianluca Russo organizza un'associazione Onlus durante l'estate del 2003, poco prima di ripartire per il Cameroun.Ai medici di Mingha altri s'accompagnano nel Progetto e entità come professionisti, dirigenti d'azienda, artigiani, studenti ed altri,formano, con entusiasmo, il gruppo organizzativo di Mingha-Africa Onlus, spinti dal desiderio di promuovere lo sviluppo dei paesi del Terzo mondo attraverso interventi di cooperazione.Dopo sei anni di attività, il presidente di questa associazione (il Dott. Russo) presenta un resoconto dettagliato della situazione del programma "Mingha" in Cameroun.
PREVENZIONE DELLA TRASMISSIONE MATERNO-INFANTILE (PTMI) DI HIV - L’ESPERIENZA DEL PROGRAMMA "MINGHA" IN CAMEROUN
Gianluca Russo
(medico infettivologo, Presidente Mingha Africa Onlus)
Premessa
Il Programma "Mingha" (in lingua yemba "il mio bambino") ha come obiettivo primario quello di favorire la creazione di un modello di intervento integrato di prevenzione della trasmissione materno-infantile (PTMI) di HIV nelle zone rurali dei Paesi a risorse limitate che sia efficace, di semplice esecuzione, sicuro, socialmente sostenibile, imitabile. Il Programma si svolge, sin dal gennaio 2003, nella Provincia dell’Ovest del Cameroun, grazie all’iniziativa del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università degli Studi di Roma "La Sapienza", in collaborazione con MINGHA AFRICA ONLUS, l’associazione locale PIPAD (Projet Intégré pour la Promotion de l’Auto-Développement), il Distretto Sanitario di Dschang.
Contesto di azione
La zona di azione del Programma è nella Provincia dell’Ovest del Cameroun, cittadina di Dschang e dintorni. La città si trova ad un’altitudine di circa 1.500 m ed é sede di un’università con 12.000 studenti. La situazione sanitaria nazionale è riassunta nelle tabelle 1 e 2. In Camerun c’è un medico ogni 12.500 abitanti e questi difficilmente esercita la professione al di fuori degli insediamenti urbani. Il sistema sanitario si avvale di strutture pubbliche, private laiche e confessionali: l’assistenza sanitaria è sempre a pagamento per il malato (prestazioni, ospedalizzazione, esami di laboratorio e strumentali, farmaci, materiali di consumo): a ciò consegue una eccessiva tendenza alla commercializzazione delle prestazioni sanitarie cui si associa una parziale perdita di attenzione umana nell'ambito dell'assistenza. Ad eccezione delle strutture ospedaliere, l'assistenza sanitaria è erogata attraverso personale infermieristico che gestisce i cosiddetti "centre de santé", quasi invariabilmente privi di qualsiasi strumentazione medica e cronicamente carenti in medicinali.
Tab. 1: Cameroun: alcuni dati di statistica sanitaria (The State of the Children – Unicef 2003)
Tab 2: Infezione da HIV in Cameroun (UNAIDS 2006)
I dati relativi all’infezione da HIV danno una misura dell’entità del problema in Cameroun, evidenziano i buoni risultati globali ottenuti riguardo l’accesso in generale alla terapia grazie al sostegno del Global Fund, ma mostrano drammaticamente quanto poco si sia riusciti a fare nell’ambito della PTMI di HIV (solo il 4,2% delle donne incinta ha accesso a servizi di PTMI di HIV). Le conseguenze socio-economiche dell’infezione da HIV sono molteplici ed interconnesse ai meccanismi che perpetuano la povertà. Per quanto concerne specificamente Dschang, nel periodo 2000-2006 presso l'Ospedale di Distretto sono stati eseguiti 10.080 test HIV con 1.538 casi di positività (15.2%): il fenomeno rischia di aggravarsi sia per una certa diffusione della prostituzione occasionale femminile nella realtà studentesca universitaria, sia per la maggiore mobilità di merci e persone che si è avuta con la recente apertura di una strada che dimezza i tempi di percorrenza per il collegamento con la città portuale di Douala.
Metodo
La scelta della zona di azione è stata fatta considerando, tra le altre cose, la densità di popolazione rurale relativamente elevata, la presenza più o meno capillare di strutture sanitarie rurali. È stata così organizzata una rete operativa di strutture per lo screening per HIV delle donne in gravidanza ed i casi positivi sono inviati presso l’Ospedale di Distretto di Dschang per un’adeguata presa in carico. Le prescrizioni di farmaci antiretrovirali (ARV) nell’ambito della PTMI di HIV sono effettuate da personale medico locale sulla base delle vigenti indicazioni e nel circuito prestabilito dal Ministero della Sanità camerunese. Nelle prime fasi del Programma è stata prevista la presenza costante di un medico della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive dell’Università di Roma "La Sapienza"; successivamente questi ha assunto funzione di supervisione regolare delle attività. Il personale sanitario delle strutture incluse nel Programma, previa formazione specifica sull'infezione da HIV, si occupa dello screening delle donne incinta: il pre-counseling si svolge in sessioni collettive che precedono la visita prenatale, mentre il counseling post-test e quello nutrizionale relativo al nascituro si realizzano individualmente. Al fine di migliorare la privacy delle donne sieropositive, è stata creata una piccola struttura sanitaria extra-ospedaliera (Centre Médico-Sociale PIPAD/Mingha) nella quale riceverle. L'equipe locale del Programma è costituita da un medico part-time e da un’infermiere di sesso femminile. Il medico collabora con l'Ospedale di Distretto e, in tal modo, permette di mantenere un legame operativo con questa struttura che, grazie al Global Fund, ha disponibili i farmaci ARV di prima linea. Il parto (cesareo solo in caso di emergenza sia per le carenze igienico-sanitarie strutturali, che per l’accettazione culturale e la sostenibilità economica), la profilassi peripartum avvengono presso l’Ospedale di Distretto. Il follow-up medico-nutrizionale della coppia madre-bambino si realizza presso il Centre PIPAD/Mingha bisettimanalmente fino all’età di 9 mesi e poi mensilmente sino all’età di 18 mesi. La diagnosi di trasmissione verticale è eseguita, qualora possibile, mediante determinazione precoce della carica virale oppure tramite test sierologico a partire dall’età di 15 mesi del bambino. I casi di positività sono riferiti al sistema locale di presa in carico dell’infezione da HIV pediatrica e sono seguiti domiciliarmene dal Programma. Tutte le spese relative all’attuazione degli interventi di PTMI di HIV sono a carico del Programma.
Risultati
Nel periodo 2003-2006 sono stati realizzati corsi di formazione sull'infezione da HIV per 72 tra infermieri e ostetrici appartenenti a 32 strutture sanitarie rurali. È stata quindi organizzata una rete sanitaria di 10 centres de santé rurali in contatto operativo con l’Ospedale di Distretto di Dschang. Il tasso di accettazione del test HIV è stato pressoché del 100%, ma solo meno del 70% delle donne ha ritirato il risultato. I risultati dello screening sono schematizzati nella tabella e nel grafico di seguito:
Delle 244 donne in gravidanza risultate HIV positive, solo 134 (54,9%) sono giunte all’osservazione del Programma: 5 di esse (3,7%) sono poi risultate essere falsamente positive al test HIV, probabilmente per fenomeno di cross-reattività secondaria alla riattivazione della sifilide. La mediana dell’età delle madri è stata di 27 anni (range 17-37), di cui circa un terzo era anche primipara, mentre il 12% aveva precedente anamnestico positivo per aborto ed il 72% di aveva esperienza di decesso di almeno un figlio di età < 5 anni. Per ciò che concerne la fase del parto, il 97,7% delle madri ha seguito un parto vaginale per via naturale: sono stati registrati 5 parti gemellari, di cui uno con un nato morto. La durata del travaglio e della rottura delle membrane al parto non sono state diverse nel gruppo di madri che hanno trasmesso rispetto a quelle che non hanno trasmesso. Per ciò che concerne i farmaci antiretrovirali (ARV) utilizzati nella PTMI, l’8.7% delle donne ha eseguito una triterapia antiretrovirale (ART) almeno dall’inizio del III° trimestre di gravidanza, l’83.5% un protocollo a base di mono-somministrazione di nevirapina (NVP) ed infine il 7.8% non ha assunto alcun farmaco ARV. Per ciò che concerne invece i neonati, il 96,2% ha correttamente assunto ARV per la prevenzione della trasmissione verticale. Dopo specifico counseling nutrizionale, il 95.4% delle donne ha accettato di seguire l’allattamento artificiale: il Programma nel periodo 2003-2006 ha distribuito gratuitamente 4.892 confezioni di latte. Nel corso del follow-up, 16 coppie madre-bambino (12%) sono state perse di vista prima di poter porre una diagnosi specifica.
Il tasso di trasmissione verticale è stato compreso tra il 9,5% (solo criterio di laboratorio) e l'11,2% (criteri di laboratorio e clinico); nessun caso di trasmissione è stato osservato per le madri che assumevano ART pre-parto. Analizzando l’insieme dei dati immuno-virologici pre e peri-partum disponibili (circa il 60% del campione di madri), si è osservato che l’elemento che differenzia significativamente il gruppo delle madri che hanno trasmesso rispetto a quelle che non hanno trasmesso è rappresentato solo dalla carica virale (vedi grafico di seguito).
Per ciò che concerne la morbilità dei bambini allattati artificialmente, non si sono osservate particolari differenze rispetto alla popolazione sieronegativa della stessa età allattata al seno; mentre per quanto riguarda la curva auxologica, questa si è dimostrata essere in media al limite inferiore della normalità. Per quanto riguarda infine la mortalità infantile essa è stata pari al 18%: il tasso di mortalità ascrivibile all’infezione da HIV è stato del 7.7% (età mediana 13 settimane). Altri 4 bambini che hanno acquisito l’infezione da HIV per via verticale sono attualmente in buona salute e seguiti anche a domicilio dal Programma.
Accanto all’azione puramente sanitaria, sono state iniziate nella zona di intervento altre attività sociali utili alla riuscita dell’azione di prevenzione: attività di sensibilizzazione su sessualità e malattie sessualmente trasmissibili a beneficio di gruppi di giovani e donne (circa 6.000 beneficiari); introduzione di un modello innovativo di IEC (Informazione Educazione Comunicazione) su HIV che utilizza i mototassisti delle zone rurali come mezzo per la diffusione di messaggi di prevenzione; attività di promozione dell’igiene personale e supporto alla costruzione di latrine (oltre 200 latrine costruite); apertura di un club di animazione per bambini sieropositivi e orfani a causa dell'AIDS (Club Mingha, 64 bambini iscritti) che attualmente prevede anche lezioni di ripetizione scolastica, apprendimento del piccolo artigianato grazie alla collaborazione con la locale associazione dei non vedenti; programmi di formazione di tecnici rurali per diffondere l'uso di tecniche produttive più efficaci per promuovere la sicurezza alimentare (produzione di miele, allevamento su scala familiare di animali di piccola taglia, etc.).
Discussione e Conclusioni
Sono numerosi i problemi incontrati, taluni risolti, talaltri non ancora. Riguardo la disponibilità a sottoporsi al test da parte delle donne in gravidanza, va sottolineato che questo avviene allorchè viene loro prospettata tutta una serie di benefici diretti sia per la madre, ma soprattutto per il bambino, a fronte dei quali la responsabilità materna supera qualsiasi forma di resistenza. Ciò non accade invece per i padri che, non solo spesso rifiutano di sottoporsi al test, ma altrettanto spesso abbandonano la madre. La solidarietà femminile diventa vitale per la donna ed il supporto dell'équipe Mingha al femminile è fondamentale per ridare coraggio alle mamme sieropositive e rafforzare la speranza nell’idea che, anche nonostante l’HIV, la vita può continuare. Un ulteriore passo nel sostenere le mamme del Programma è quello di aiutarle a crearsi una piccola attività che possa permetter loro di superare almeno la sudditanza economica nei confronti dell’uomo: in tale ottica nel prossimo futuro cercheremo di strutturare specifici interventi.
L’attività di counseling, anche nutrizionale, si è dimostrata fondamentale per la riuscita dell’intervento di prevenzione: ma le difficoltà sono numerose, sia per la continuità della motivazione del personale sanitario delle strutture ove si realizza lo screening, che per la capacità di comprensione reale del problema da parte delle donne con minore scolarizzazione, che per la forte resistenza culturale dei mariti che troppo spesso rifiutano categoricamente il counseling di coppia. Il coinvolgimento delle autorità tradizionali è stato elemento di capitale importanza in tal senso, anche se lo stesso non può esser detto riguardo le autorità amministrative.
Fermo restando che in generale l’allattamento materno rappresenta l’optimum per la nutrizione dei neonati, la pandemia da HIV ha imposto ed impone la ricerca di strategie utili a ridurre il rischio di trasmissione post-natale dovuto all’allattamento materno stesso. In questo senso, la nostra esperienza ci ha dimostrato che l’allattamento artificiale è tecnicamente fattibile e non necessariamente rischioso per la salute dei bambini. Ma affinché ciò accada bisogna farsì che la madre sia fortemente convinta della sua scelta e fornirle un training riguardo le norme igieniche da rispettare nella preparazione del latte. L’allattamento artificiale deve essere anche economicamente accessibile (senza il Programma nessuna donna avrebbe potuto permetterselo) anche perché superare la barriera economica facilita l’accettazione familiare della scelta materna.
Per ciò che concerne l’utilizzo di farmaci ARV nell’ambito della PTMI, noi riteniamo che l’OMS ed i governi dei Paesi a risorse limitate debbano porre un’attenzione decisamente maggiore al problema, così come alla gestione terapeutica dei bambini sieropositivi. Per quanto riguarda la prima problematica, sulla base di quanto accade nei Paesi industrializzati (trasmissione verticale < 2%), bisogna sottolineare il valore preventivo della triterapia anti-HIV ai fini della riduzione del rischio di trasmissione verticale e dell’insorgenza di resistenze (più o meno reversibili) che le mono e bi-terapie peripartum hanno dimostrato di poter facilmente determinare. La priorità in corso di gravidanza deve essere quella di ridurre al minimo la carica virale, essendo questa il vero fattore associato alla trasmissione; l’unico modo per farlo è premettere l’accesso alla ART preventiva in corso di gravidanza. Questo è tecnicamente fattibile, sufficientemente sicuro ed attualmente anche economicamente sostenibile in molti contesti di Paesi a risorse limitate, ma purtroppo non raccomandato dalle linee guida dell’OMS. Bisogna poi anche facilitare la precocità della diagnosi presso i bambini nati da madre HIV+ mediante la creazione di laboratori di riferimento nazionale capaci di realizzare la carica virale diagnostica: Questo perché non è possibile attendere i 18 mesi di età per poter avere una sierologia per HIV affidabile, in quanto oltre 1/3 dei bambini che hanno acquisito l’HIV per via verticale muore prima dei 12 mesi di età. Altro problema rilevante incontrato è stato quello della fattibilità della presa in carico dei casi di bambini infettatisi con HIV, soprattutto a causa della discontinuità della disponibilità sul territorio dei farmaci pediatrici (nonostante siano gratuiti grazie al Global Fund). A tal proposito è evidente che per i Governi dei Paesi a risorse limitate la terapia pediatrica non è una priorità: i piccoli sieropositivi sono cinicamente considerati come dei potenziali "pesi" a vita per la società.... L’azione degli organismi internazionali è essenziale per assicurare la tutela dei diritti fondamentali dei bambini sieropositivi. Un’azione decisa in tal senso non è solo auspicata, ma fortemente attesa dalla società civile e dagli operatori sul campo.
Il Programma Mingha rappresenta un’azione piccola e povera (il finanziamento annuo è nell’ordine di poche migliaia di euro), ma che propone un modello di azione realmente partecipativo ed integrato, adattato alla realtà locale, utile anche a dare la speranza per un futuro in cui, almeno la nuova generazione, possa essere sollevata dal fardello dell’infezione da HIV. Oggi, anche grazie alla nostra azione, molte cose sono cambiate in loco sia per ciò che concerne la percezione individuale e sociale del problema, sia per l’entità degli interventi di lotta all’HIV; ma ancora molto resta da fare in una lotta che necessita una rielaborazione di equilibri e priorità sociali nei contesti nazionali dei Paesi a risorse limitate fortemente colpiti dalla pandemia, oltre che una messa in discussione di valori e tradizioni locali, di metodi e priorità dell’umanitarismo e della cooperazione internazionale. Tutto ciò è difficile, ma a fronte della diffusione continua della pandemia rappresenta un imperativo categorico cui nessuno si può e si deve sottrarre.