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C.I.P. n. 11 - FORMAZIONE E SCUOLA
IL COMBAT-STRESS ( I PARTE )
STUDI DI PSICOLOGIA MILITARE
Rita De Francesco
Psicologa dell’emergenza
La psicologia militare è una disciplina relativamente nuova. Le sue attuali conoscenze hanno preso avvio con la guerra del Vietnam, e la recente esperienza nei teatri dell’Iraq e dell’Afghanistan conferma quanto già osservato e registrato in passato. Il compito principale della psicologia militare è di occuparsi del benessere emotivo e psicologico dei soldati impegnati nelle operazioni militari. L’obiettivo è di ridurre il più possibile gli effetti dello stress acuto da combattimento ed evitare che questo si trasformi in disturbo post-traumatico da stress. Risulta pertanto necessario che lo psicologo intervenga subito dopo l’esposizione all’evento traumatico, e per fare questo dovrà trovarsi in prossimità dello scenario cioè nella zona di combattimento o di conflitto ed intervenire il più vicino possibile (prossimità) e il prima possibile (immediatezza) per questo lo psicologo in questione è generalmente uno psicologo militare.
Nei nuovi teatri operativi il militare si trova spesso ad affrontare situazioni atipiche, di fronte ad un "nemico" anch’esso anomalo, un avversario che è diverso da come si è sempre inteso! Rispetto al passato infatti, si ha un’asimmetria della condizione bellica per cui da una parte c’è un soldato super addestrato e tecnologicamente ben equipaggiato, mente dall’altra c’è un avversario che non porta alcuna divisa, non dichiara le sue intenzioni di attacco, non mostra di avere delle armi e che spesso si cela dietro il sorriso di un bambino o lo sguardo intenso di una donna: ci si trova cioè davanti ad un "nemico" che non rispetta le regole della guerra. Questa realtà così complessa può produrre nei militari reazioni impulsive e comportamenti irrazionali che implicano un forte stress e con effetti psicologici profondi e duraturi.
I militari impegnati all’estero sono continuamente sottoposti al rischio di essere feriti, di farsi male ma alcune di questi interventi possono produrre delle lesioni ben più profonde, seppur non così evidenti, e come tali molto più invalidanti e devastanti delle ferite fisiche. Parliamo nello specifico di eventi che per la loro imprevedibilità ma soprattutto per il loro "carico emotivo" determinano effetti sulla mente, sulla personalità, sul benessere psicologico e sull’identità personale del militare.
Gli effetti psicologici del combattimento si possono vedere già nell’immediatezza dello stress acuto e consistono in una modificazione brusca della personalità, eccessiva irritabilità, depressione, senso di colpa (per essere sopravvissuto ad altri colleghi), incubi ricorrenti, flashback degli scenari di guerra e reazione spropositata ai rumori, modificazione delle relazioni con i commilitoni nonchè la comparsa di comportamenti anomali e particolarmente aggressivi con la popolazione civile inerme. Siamo di fronte a conseguenze psicologiche che interessano sia gli aspetti emotivi che cognitivi con una ovvia conseguenza sul piano sia comportamentale che relazionale, nonché fisiologico. Oggi, a differenza del passato, quando le reazioni dei militari non venivano comprese, si ha una nuova identificazione e ridefinizione: il militare che vive una reazione traumatica non è più visto come un vigliacco, un debole o un imboscato ma come una persona normale che vive una situazione di fatica psicologica derivante da una circostanza eccezionale.
Si ha cioè una depatologizzazione di questo particolare fenomeno che viene così considerato normale, che cioè, può accadere e come tale può essere previsto nella pianificazione operativa.
Secondo gli psichiatri militari americani il "combat stress" insorge quando la situazione che si viene a creare nel teatro delle operazioni impone al militare di modificare (soprattutto in maniera repentina) il proprio comportamento e quest’ultimo impone delle ulteriori modificazioni adattive sia dal punto di vista cognitivo che fisiologico ed emotivo.
Ogni militare generalmente viene selezionato, addestrato e formato per affrontare queste situazioni e rispondere a questa esigenza. Tuttavia i nuovi teatri operativi, non prevedibili, non permettono al militare di elaborare cognitivamente la situazione in tempo ed in modo utile, non permettendo così di dare una risposta adeguata. In genere le risposte che vengono fornite in queste circostanze spaziano dall’immobilismo per inibizione psicomotoria fino alla fuga improvvisa ed irrefrenabile, passando attraverso reazioni impulsive dette a "corto circuito" in cui la mente "scarica" improvvisamente una reazione comportamentale che sfugge a qualsiasi forma di controllo, di consapevolezza e quindi senza la possibilità di essere ricordata.
Il militare quindi può bloccarsi (mettendo così a forte rischio la propria vita), oppure può sparare in modo compulsivo verso tutto ciò che lo circonda (mettendo così a rischio la vita altrui), o infine può scappare in modo irrazionale ed in preda al panico.
Se il militare sopravvivrà a questa circostanza non avrà un ricordo nitido di quanto accaduto, però la sua mente avrà registrato in un unico ricordo la paura, il panico, l’angoscia, la fuga, la morte, il sangue, il terrore, gli odori … e queste informazioni torneranno più volte a materializzarsi in modo improvviso, inaspettato, sia di giorno che di notte, con evidenti conseguenze che in casi importanti e a volte estremi sfociano in depressione, uso di sostanze, comportamenti violenti e suicidio.
Risulta pertanto fondamentale prevedere, conoscere e riconoscere un evento determinando così una risposta più consona ed efficiente che va a rinforzare positivamente l’autostima del soggetto.
Lo stress emotivo e la continua paura che i militari occidentali stanno affrontando in Iraq ed in Afghanistan è un problema che da sempre accompagna l’uomo nelle operazioni militari anche se le operazioni che compiono non sono più quelle classiche: si tratta infatti solo di controllo del territorio, di pattugliamento, di controllo delle auto e delle case, operazioni più vicine alla cultura professionale della Polizia che all’addestramento militare di un soldato. E’ l’attesa di un attacco che non si sa se, come e quando arriverà a far salire la tensione emotiva del militare fino all’ansia patologica ed alla sua impossibile gestione: un militare è addestrato ad agire, è formato all’azione e non riesce a sopportare l’attesa, l’immobilismo, l’impotenza di non poter far nulla e di non poter prendere delle iniziative. Siamo di fronte ad uno scenario del tutto nuovo rispetto a ciò che ci ha ereditato il passato pertanto anche la modalità di intervento deve essere diversa!
Questa nuova realtà necessita di una forte adattabilità del militare, che per sua formazione invece spesso è abituato alla rigidità e pragmaticità; per questo risulta sempre più necessaria una buona formazione e il sostegno psicologico sia prima che durante e dopo l’intervento operativo! Un sostegno che garantisca la presenza di qualcuno (lo psicologo appunto) che raccolga i suoi stati d’animo, i suoi vissuti, le sue emozioni e le sue esperienze restituendole poi elaborate, razionalizzate, raffreddate e quindi utilizzabili come esperienza personale per crescere e per progredire!