I bambini traumatizzati: riflessioni sull’intervento durante e dopo un’emergenza - Conosco Imparo Prevengo

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I bambini traumatizzati: riflessioni sull’intervento durante e dopo un’emergenza

Archivio > Agosto2014 > Psicologia delle emergenze

C.I.P. n. 23 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE

I BAMBINI TRAUMATIZZATI: RIFLESSIONI SULL'INTERVENTO DURANTE E DOPO UN' EMERGENZA
di Daniele Biondo                      

Presidente Centro Alfredo Rampi, Psicoanalista (SPI, IPA)

In questo articolo vorrei  affrontare la questione, che mi sembra di grande attualità, inerente la possibilità di aiutare durante e dopo un'emergenza un bambino  traumatizzato. Mi sono interrogato sui fattori che permettono al bambino di superare il blocco  conseguente alla sua  esperienza drammatica, esperienza catastrofica vissuta nell'emergenza (incidente o calamità). Per rispondere a tale interrogativo occorre prendere in considerazione, secondo le indicazioni della moderna letteratura sul trauma, la dinamica fra i fattori di rischio e i fattori di protezione. Per quanto riguarda i primi fattori sembra che l’esperienza traumatica massiva e prolungata produca una serie di difficoltà del bambino che lo rendono particolarmente vulnerabile. Possiamo riassumerle, alla luce dell’esperienza psicoanalitica realizzata con i bambini adottivi e traumatizzati, nel rischio di blocco evolutivo: blocco che sembra essere conseguente al modello di funzionamento mentale difensivo attivato dall’esperienza traumatica. La letteratura psicoanalitica sul tema del trauma indica come principale effetto quella del blocco  del pensiero, che possiamo osservare a diversi livelli e che possiamo così riassumere:
a)  secondo le preziose indicazioni delle neuroscienze, ben inquadrate da Mancia, possiamo osservare nei bambini traumatizzati un imprinting negativo depositato nella loro memoria implicita - spesso, come suggerisce Kancyper (2000) memoria del rancore - che potrà influenzare tutti i loro rapporti futuri con il mondo. Nell'intervento in emergenza questo aspetto deficitario del pensiero influenza profondamente il transfert con il soccorritore, ostacolando la possibilità del bambino di affidarsi a lui;
b)  l’esperienza dell’impotenza vissuta durante l'emergenza può orientare i bambini massicciamente traumatizzati verso un modello di resa, come indicato da Krystal (1988-1993), che li spinge continuamente sull’orlo della disperazione. Tutto ciò rende questi bambini difficili da raggiungere a livello profondo, poiché hanno organizzato una specifica difesa dal rischio di provare dolore;
c)  l’esperienza della separazione è particolarmente inavvicinabile dai bambini fortemente traumatizzati, poiché temono il rischio di catastrofizzare, cioè di perdere tutto se stessi, quello che Winnicott ha definito "rischio del crollo dell’unità del Sé", e ciò rappresenta uno dei principali ostacoli al proseguimento della loro crescita psichica, che implica inevitabilmente la tolleranza dell’esperienza del distacco e della frustrazione;
d)  l’esperienza traumatica massiccia comporta molto spesso la limitazione di tutte le funzioni cognitive, e può protrarsi, oltre la situazione traumatica, a livelli imprevedibili. Esiste nel soggetto traumatizzato una mancanza di motivazione a ri-ampliare le proprie funzioni mentali. A tal proposito molti studiosi hanno individuato, tra i sopravvissuti a un disastro di gruppo, un’identificazione con la morte o con i morti. Lifton  (1976) la definisce come: "una forma di desensibilizzazione; si riferisce un’incapacità di sentire emotivamente, o di confrontarsi con certi tipi di esperienza, dovuta al blocco o all’assenza di forme o immagini interiori che si possano collegare a tali esperienze".





L’intervento degli psicologi del Centro Rampi durante il terremoto dell’Aquila del 2009



Di fronte a difficoltà così imponenti e diffuse si pone la questione della trasformabilità del funzionamento mentale profondo del bambino massicciamente traumatizzato, connesso al tema della trattabilità.
La prima questione, che rimanda alla possibilità del bambino di sopravvivere psichicamente all’impatto dell’esperienza  traumatica massiva, è relativa alla dinamica dei fattori di vulnerabilità e di quelli di protezione. Per  quanto riguarda il ruolo dei fattori di rischio, abbiamo già visto qual è la loro portata, elencando i danni che conseguono all’esperienza traumatica. Per ciò che riguarda i fattori di protezione occorre, a mio avviso, prendere in considerazione una serie di fattori generali,  che contribuiscono ad attivare le capacità di resilienza (Luthar et al. 2000, Canevaro et al. 2001, Lawrence et al. 2005) del bambino traumatizzato, ed una serie di fattori specifici, inerenti al rapporto di aiuto in emergenza, che ci permettono di soccorrerlo proprio al livello profondo di cui ha più bisogno. Per quanto riguarda la capacità di resilienza, sono fondamentali le caratteristiche connesse con le differenze individuali nella risposta ad un trauma, che includono:

a) le esperienze che rafforzano o indeboliscono l’individuo prima del trauma;
b) le influenze protettive al momento dell’esposizione al rischio;
c) le esperienze di recupero dopo l’esposizione (Lalli e Ingretolli 2007).

Tutti fattori che permettono al bambino di sopravvivere al trauma. Sappiamo che il trauma psichico che segue ad ogni catastrofe attacca la capacità di pensare e spinge potentemente verso l’oblio di se stessi e degli altri. Dobbiamo di conseguenza chiederci come il bambino traumatizzato riesca a sopravvivere. Per rispondere a tale interrogativo dovremmo approfondire la questione della formazione delle capacità auto protettive (Di Iorio e Biondo 2009), che permettono agli individui di fronteggiare gli eventi traumatici della vita. Queste non dipendono esclusivamente dalle prime relazioni oggettuali, ma anche dalle esperienze successive (di tipo affettivo ed educativo) che il bambino ha potuto realizzare nel corso della propria esistenza. Siamo anche consapevoli che non sempre l’individuo è in grado di superare l’evento traumatico (perché esso è troppo massivo, o perché l’individuo era già fragile) con le risorse a disposizione nel suo ambiente, e per questo occorre fornirgli specifiche esperienze di cura nella fase della post-emergenza per riprendere il proprio sviluppo.
La seconda questione, inerente la trattabilità dei bambini massicciamente traumatizzati, ci interroga in particolare sull’efficacia dello strumento psicoterapeutico. Occorre, secondo le indicazioni di molti, dare maggiore riconoscimento all’influenza dei contesti multipli sullo sviluppo del bambino traumatizzato. Però possiamo considerare l’offerta nella fase della post-emergenza di un trattamento psicoterapeutico al bambino traumatizzato fondamentale per influenzare positivamente il suo percorso evolutivo. Più precoce è l’avvio del trattamento più speranza abbiamo di condizionare positivamente l’esito di tale sviluppo. Ciò anche per l’influenza che la psicoterapia può avere sulla capacità dei genitori del bambino adottivo e/o massicciamente traumatizzato di avere fiducia nelle loro capacità di aiutare, sostenere ed amare un bambino così sofferente a causa del trauma. Sempre all’interno dei contesti multipli di cura occorre prendere in considerazione l’opportunità di attivare, anche per il terapeuta di bambini traumatizzati, un gruppo di sostegno o di supervisione, che gli permetta di sopportare l’impatto con la violenza dei fattori traumatici del bambino. In altri contesti, relativi alla cura di adolescenti fortemente traumatizzati, ho avuto modo di definire questo tipo di aiuto al curante come setting psicodinamico multiplo (Biondo 2008). Mi sembra che i bambini traumatizzati abbiano a che fare con un’esperienza interna così devastante che abbiano bisogno di incontrare, nella mente del terapeuta  "un di più" di contenimento: quello che potrebbe essere definito  come un gruppo di lavoro interno.
Facendo tesoro delle esperienze cliniche di trattamento di bambini traumatizzati (Biondo 2012), possiamo individuare alcuni aspetti sui quali lo psicoterapeuta dovrebbe concentrare il proprio intervento: la costituzione del senso del limite psichico; la possibilità che la psicoterapia offre al bambino di presentare i suoi aspetti più primitivi (connessi alla violenza dei sentimenti di odio, rancore e disperazione prodotti dalla catastrofe), che comporta a volte l’accettazione da parte del terapeuta del "corpo a corpo" che il bambino gli propone; la possibilità d’integrare il suo Sé scisso e frammentato dal trauma; la possibilità di elaborare l’esperienza traumatica attraverso il disegno, la drammatizzazione o la scrittura; la ripresa dell’integrazione del Sé, la riscoperta della capacità d’amare e di affidarsi all'adulto.


Olbia 2013: gli psicologi del Centro Rampi intervengono in una scuola all’indomani dell’alluvione


Riassumendo possiamo affermare che il fattore terapeutico principale che può essere attivato nella psicoterapia dei bambini traumatizzati riguarda la possibilità di andare, grazie al transfert ed al controtransfert, nel luogo mentale in cui la dolorosa ferita prodotta dalla catastrofe brucia ed alimenta nel bambino la logica della disperazione (Green 1990).  La psicoterapia ad orientamento psicoanalitico promuove nel bambino un’esperienza specifica: l’esperienza del soffrire il dolore (Lupinacci 2012). Offrire al bambino un tempo per il dolore (Cancrini 2002) significa disintossicarlo dall’angoscia prodotta in lui dall'esperienza traumatica dell'incidente o della calamità. Disintossicazione e trasformazione  che può avverarsi solo grazie alla presenza di un compagno vivo (Alvarez 1992), e cioè di un psicoterapeuta che riesca a funzionare come una coppia genitoriale sana e ben funzionante (Lupinacci 2012), capace di vivere le emozioni, anche quelle più estreme generate dall'esperienza traumatica.


Bibliografia
ALVAREZ A. (1992), IL COMPAGNO VIVO. Si può strappare un bambino alla pazzia?, Roma,  Astrolabio.
BIONDO D. (2008), Fare gruppo con gli adolescenti, Milano, Franco Angeli.
BIONDO D. (2012), Una ferita all'origine. Borla
CANCRINI T. (2002), Un tempo per il dolore, Torino, Bollati Boringhieri.
CANEVARO A., MALAGUTI A., MIOZZO A., VENIER C. (2001), (a cura di) Bambini che sopravvivono  alla guerra, Trento, Erickson.
DI IORIO R., BIONDO D. (2009), Sopravvivere alle emergenze. Gestire le emozioni negative legate alle emergenze ambientali e civili, Edizioni Magi, Roma.
GREEN A. (1990), Psicoanalisi degli stati limite, Milano, Raffaello Cortina, 1991.
KANCYPER L. (2000), La memoria del rancore e la memoria del dolore, Psiche, VIII, 2, 101-108.
KRYSTAL H. (1988-1993), Affetto, trauma, alessitimia, Magi Edizioni, Roma, 2007.
LALLI N., INGRETOLLI S. (2007), Il Trauma Psichico: tra Resilienza e Vulnerabilità, relazione presentata al XXI Congresso Nazionale di medicina Psicosomatica, 17 novembre 2007, Firenze.
LAWRENCE J. VALE AND THOMAS J. CAMPANELLA (2005), The Resilient City: How Modern Cities Recover from Disaster, New York, Oxford University Press.
LIFTON R.J. (1976), The Life of the Self, Simon & Schuster, New York 1979.
LUPINACCI, M. A. (2012), “Dalle prime esperienze dolorose viste nella relazione madre bambino, verso LA CLINICA”, IN T. CANCRINI E D. BIONDO (A CURA DI), UNA FERITA ALL'ORIGINE. BORLA         
LUTHAR S.S., CICCHETTI D., BECKER B. (2000), The Construct of Resilience: A Critical Evaluation and Guidelines for Future Work, Child Development, Volume 71, Issue 3, pages 543–2.    

 
 
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