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C.I.P. n. 7 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE
EMERGENZA IMMIGRATI E IMMIGRATI IN EMERGENZA
IL BISOGNO DI SICUREZZA
Vania Venanzi e Ilaria Ripi
Psicologhe, Consigliere PSIC-AR
Il bisogno di sicurezza è uno dei bisogni fondamentali dell'essere umano. Viene soddisfatto alla nascita dall’accudimento parentale, poi dal gruppo dei pari ed infine dalla socialità stessa: è noto, infatti, che uno dei principali scopi di una comunità è quello di proteggere gli individui che ne fanno parte. È naturale che per condurre un’attività ognuno di noi deve sentirsi al sicuro. La presenza di una minaccia per la sopravvivenza relativizza ogni tipo di altra occupazione: non è possibile, infatti, dedicarsi a qualcosa se ci si sente costantemente in pericolo. Per combattere l’incertezza si rende necessario allora individuarne la fonte e, ove possibile, eliminarla.
La presenza di un pericolo indefinito, anche solo pensato, è fonte di ansia che, nel momento in cui si incarna in un oggetto del pericolo, si trasforma in paura. L’oggetto riconosciuto o fatto riconoscere come causa di insicurezza e malessere si trova quindi a contenere tutte le ansie, comprese quelle sociali, e deve pertanto essere evitato o addirittura eliminato. Un caso particolare di questo fenomeno è quello delle paure xenofobe.
La xenofobia ossia "paura del diverso" è la paura di ciò che è distinto per natura, razza o specie. A volte questo atteggiamento non si ferma alla semplice paura, ma sfocia in una vera e propria intolleranza e discriminazione nei confronti dell'oggetto del proprio timore.
Il termine è tipicamente usato per descrivere la paura o l'avversione per ciò che è estraneo. All'interno di una società l’oggetto principale verso cui si manifesta la fobia è in genere una popolazione che di quella società non è considerata parte, e cioè principalmente persone immigrate. Spesso di tratta di immigrati recenti, ma la xenofobia può anche essere diretta verso un gruppo che sia presente da secoli. Questa forma può provocare o facilitare reazioni ostili e violente, come l'espulsione di massa degli immigrati o, nei casi peggiori, il massacro.
Cosa scatena la xenofobia? Per quanto un atteggiamento xenofobo possa essere sempre presente, negli ultimi tempi sembra essere aumentato nel nostro paese ed è frequente sentire frasi come "Uno ti entra in casa, ti violenta la moglie, ti picchia brutalmente, ti uccide oltre a saccheggiarti casa? Va beh che vuoi che sia…" oppure " "Uno guida ubriaco e investe qualcuno magari uccidendolo? Mah sì un po’ di anni in hotel e la cosa passa…". Il messaggio di frasi come queste è abbastanza chiaro: la paura di essere aggrediti, la rabbia per non essere difesi ed un senso di grande sfiducia verso le istituzioni trapelano neanche troppo larvatamente, creando la situazione ideale alla nascita di rancori xenofobi.
Sebbene l'intolleranza verso il diverso sia una caratteristica legata alla cultura di appartenenza, e che si sviluppa attraverso lunghi e complessi meccanismi di condivisione di opinioni tra appartenenti ad una comunità, non possiamo non prendere in considerazione il fatto che un ruolo cruciale è svolto dai mezzi di comunicazione di massa, che spesso tendono ad amplificare eventi e situazioni che coinvolgono immigrati. E' innegabile, ad esempio, che nelle cronache degli ultimi mesi si sia assistito ad un quotidiano elenco di reati commessi da stranieri in Italia. Sebbene le statistiche riportino chiaramente come solo un minimo numero di reati è commesso dagli stranieri rispetto a quelli commessi dagli italiani, il potere di comunicazione dei mass media fa sì che questo dato finisca sullo sfondo, mentre viene in primo piano il messaggio sotteso, e cioè che è necessario avere paura degli immigrati, è necessario difendersi da questi. Ma se i reati li commettono tutti, perché fa più notizia lo straniero? I motivi sono molteplici. Iniziamo ad analizzarne alcuni partendo da un’ analisi sommaria del momento storico che stiamo vivendo: a livello ambientale ci sono grandi cambiamenti climatici, inquinamento, crisi delle materie prime ecc.; a livello sociale la precarietà del lavoro è spesso fonte di frustrazioni, senso di solitudine e di impotenza, impossibilità di emancipazione dei giovani dalle famiglie; a livello familiare notiamo la crisi delle famiglie e dei legami contro uno spiccato crescere di un individualismo assoluto; a livello economico l'innegabile stato di crisi rende difficile il presente ed incerto il futuro. Tutto ciò e molto altro si aggiunge alla consapevolezza del rischio di perdere la possibilità di soddisfare tutti i bisogni indotti dallo stato di benessere a seguito della recessione economica. La sensazione che immediatamente traspare è che non ci siano risorse per tutti, e che non sia facile procurarsele: l'accesso alle risorse e ai servizi comincia a trasformarsi da qualcosa che era garantito a qualcosa che ci si deve guadagnare in qualche modo. In questo contesto l'atteggiamento è diventato più competitivo che collaborativo. Può accadere, allora, che l’ansia e la rabbia che ne derivano vengano canalizzate verso un oggetto "pericoloso". Pericoloso in quanto responsabile sia dello scarseggiare delle risorse sia del clima di paura che si è instaurato. È in questo scenario che si evidenzia la necessità di trovare un nemico contro cui scagliarsi e a cui attribuire la causa dell’insicurezza e del malessere percepito. In questo modo tutta l’attenzione si distoglie dal resto e si rivolge al nemico.
Ma come si sceglie il nemico?
Il nemico migliore è un altro diverso da te e dai tuoi simili: attraverso il nemico si definisce un’identità ed un senso di appartenenza ad un gruppo che conferma tale identità. La forte identificazione col proprio gruppo permette alle persone di sviluppare velocemente un’identità gruppale sulla base di indizi minimi. Sembra che le persone si aggrappino a quasi ogni tipo di indizio suscettibile di distinguere i membri dell’ingroup da quelli dell’outgroup. In tal senso le persone possono essere suddivise fra "noi" e "loro" sulla base dell’aspetto esteriore, della religione, dei costumi, del luogo, del linguaggio e della sessualità.
La creazione di stereotipi negativi nei confronti dei membri di altri gruppi per cui il nemico è cattivo e pericoloso aiuta a dare una connotazione positiva alla propria identità. Spesso ciò contribuisce a giustificare atti di violenza nel nome della protezione del gruppo d’appartenenza positivo contro un gruppo dai valori negativi.
Il nemico è inoltre per sua natura un avversario affrontabile: la competizione inizia infatti quando gli interessi degli individui coincidono (si vuole la stessa cosa) oppure quando divergono (sono queste le cose importanti rispetto ad altre). Si compete spesso per le risorse: in questo caso, ad esempio, può accadere che vedere altri che usufruiscono dello stato sociale e sono capaci di stare bene con molte meno risorse, crei un vantaggio che si vuole eliminare. Si compete fino a quando c’è la possibilità di vincere, non ci si espone infatti a facili frustrazioni. Non meno importante è il fatto che contrastare ciò che è diverso permette anche di eliminare ciò che mette in discussione i propri valori, il proprio modo di vedere la realtà, i propri sistemi di potere.
Da quanto detto finora sembrerebbe che l'Italia sia un paese altamente intollerante, in cui si respira un costante clima di paura e in cui è necessaria la lotta per la conquista di spazi da strappare agli stranieri.
Vale la pena, allora, ricordare che l'Italia è in realtà un paese piuttosto tollerante.
A tal proposito, recenti ricerche hanno preso in considerazione famiglie immigrate nel nostro paese. Da queste ricerche risulta che una grande percentuale di immigrati non ha motivi di attrito con la nostra società. Il 43,3% di queste famiglie vive il rapporto con il nostro paese in maniera serena: si tratta di persone che, pur mantenendo saldo il legame con la terra di origine, sentono di essere inseriti nella nuova realtà territoriale, hanno legami con italiani, partecipano alla vita del loro nuovo paese e si sentono accolti al punto da fare un progetto di permanenza a lungo termine.
Il 17,1% delle famiglie vive in gruppi etnici piuttosto chiusi, che tendono a riprodurre la vita e le regole del luogo d'origine. Pur non essendo molto inseriti nella nuova realtà, la loro situazione è molto tranquilla, non hanno motivi di conflitto con gli italiani e sentono che questi ultimi accolgono bene gli immigrati.
Il 25,4% delle famiglie intervistate si trova in condizioni di precarietà psicologica: si tratta di famiglie che non possono rientrare nel paese natìo (a cui sono ancora fortemente legate) ma non si sentono accettate nel luogo in cui sono emigrate. In Italia sentono il disagio legato all'ostilità verso gli stranieri, e hanno paura di essere vittime di atti xenofobi.
Ancora, il 14,2% delle famiglie vive in una situazione di estraneità e isolamento: i legami con la madrepatria si sono allentati, e nel nuovo paese non sentono vicinanza se non con chi appartiene, come loro, alla categoria indistinta degli immigrati lavoratori, indipendentemente dalla provenienza. Motivi di conflitto veri e propri non vengono riportati, ma la sensazione di isolamento rende più facili vissuti di emarginazione. [Cfr. Caltabiano,C., Spazi per (con)vivere:i percorsi di adattamento nella società italiana, in Famiglie migranti, a cura di Simoni M. e Zucca G., 2007, Milano, Franco Angeli].
Il quadro che emerge, dunque, seppur complesso, è ben diverso dalla situazione di minaccia che spesso viene delineata.
Sarebbe assurdo negare che in Italia la forte immigrazione porta degli inevitabili problemi. Altrettanto assurdo, però, è dipingere un quadro di conflittualità che non corrisponde in pieno alla realtà del nostro paese.
Siamo certe che sottolineare una minaccia sia funzionale a diversi scopi.
Da un certo punto di vista un processo del genere sicuramente semplifica una realtà che invece è altamente complessa, e soprattutto che è formata da sfaccettature e contraddizioni molto difficili anche solo da considerare. Sicuramente spendere energie nel competere contro un nemico fittizio ha il vantaggio di costituire una fuga da un quotidiano difficile e frustrante ed inoltre ci permette di riversare parte della frustrazione e della rabbia verso un fantoccio. E' più semplice pensare a chi delinque come a uno straniero piuttosto che come a una persona povera, cosa che costringerebbe a fare i conti con una condizione che in Italia è in aumento, oppure come a una persona collusa con un sistema di delinquenza che è radicato in un paese (come il nostro) con un alto livello di corruzione.
Riteniamo che finché il bisogno di un nemico sarà necessario all’evitamento non sarà possibile guardare ad una integrazione efficace che tenga conto delle reciprocità in una cooperazione proficua.
Le considerazioni finora espresse sono sicuramente eccessivamente semplificate. Siamo consapevoli del fatto che la realtà in cui viviamo è più complessa, che i meccanismi con i quali si esprime la xenofobia non sono uguali per tutti, e che solo una parte degli italiani ha un atteggiamento intollerante verso gli stranieri. Tuttavia abbiamo scelto di dare una breve (anche se non esaustiva) descrizione di alcuni processi che intervengono nello stabilirsi di atteggiamenti intolleranti perché vogliamo sottolineare come alcuni meccanismi rendono facile considerare gli immigrati come fonte di pericolo per la nostra società. Il nostro interesse come psicologi è quello di conoscere sempre meglio questi meccanismi, mentre il nostro dovere di cittadini è quello di distinguere i fatti da ciò che è costruito, e di rivolgere l'attenzione ai numerosi problemi del paese in cui viviamo, che non possono essere sepolti sotto la troppo facile (e dannosa) responsabilizzazione di chi proviene da una diversa nazione.