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C.I.P. n. 5 - SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO
LA DEREGOLAMENTAZIONE DEL LAVORO TERRENO DI COLTURA DEGLI INFORTUNI
di Marco Sciarra
(Responsabile del "Servizio di Prevenzione e Protezione" dell’Università degli Studi di Roma di "Tor Vergata")
Secondo gli ultimi dati INAIL il numero complessivo degli infortuni sul lavoro risulta in progressivo calo. Una diminuzione statisticamente correlabile all’aumento del tasso di disoccupazione che sembra essere divenuto una costante dei diversi mercati del lavoro, con un effetto paradossale che è la mancanza di lavoro, non la sua umanizzazione, a risultare la migliore strategia d’impatto contro infortuni e malattie professionali.
Negli ultimi tre decenni, ogni anno in Italia un milione di persone subisce un incidente sul lavoro, con conseguenze di inabilità permanente per oltre 27.000 casi e con esiti mortali per 1.300 lavoratori.
Un dato che cresce impietosamente e sembra difficile da fermare. Infatti, i lavoratori periti, dal gennaio 2008 ad oggi, in quelle che comunemente vengono chiamate "morti bianche" sono circa 1.260.
Già alla fine degli anni ’60 con la riorganizzazione del mondo del lavoro ci si cominciò a porre il problema del numero elevato di infortuni e delle malattie professionali.
La trasformazione post-fordista del mondo produttivo con lo smagrimento delle grandi aziende, sia in termini di funzioni che di personale costituiscono ulteriori elementi di novità rispetto ad un passato in cui il mondo del lavoro veniva regolato da rapporti stabili e duraturi.
Si è passati da un sistema di garanzia e sicurezza, ad una società post-industriale in cui la tecnologia, i mercati e i consumatori della forza lavoro cambiano così rapidamente che il lavoro è sempre meno stabile e sempre più incerto.
Un cambiamento che marca la nuova tipologia sociale dei soggetti più esposti al rischio, outsider del mercato, categoria più debole tra gli insider, rapporto di lavoro a termine o comunque precario, apprendisti, part-timers e, soprattutto i self employed lavoratori formalmente autonomi ma fortemente dipendenti dal ciclo produttivo delle grandi imprese.
Mutamenti profondi che affiancati alla deregolamentazione del mercato del lavoro costituiscono il terreno di coltura degli infortuni sul lavoro determinando le drammatiche percentuali citate.
Inoltre spesso le vittime degli infortuni sono giovani operai o extracomunitari il più delle volte sfruttati da imprenditori che, in nome degli alti costi hanno ritenuto risparmiare in materia di sicurezza, considerando questa solo
un costo aggiunto.
Bisogna restituire al lavoro quel valore individuale e sociale, così come è riconosciuto dalla Carta Costituzionale della Repubblica Italiana, attraverso quei percorsi di formazione, professionalità e sapere, ma anche e soprattutto restituendo al lavoro la visione di attività umana che dà alla persona la possibilità di scegliere il proprio futuro.
Va ribadito che una strategia vera di contrasto agli infortuni si raggiunge solo attraverso sanzioni anche penali per chi omette le norme di sicurezza.
Vanno caratterizzate le politiche sociali del paese facendo della lotta al lavoro nero una priorità assoluta, riformando i servizi ispettivi ampliandone il numero per consentire una fattiva vigilanza sul territorio.