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C.I.P. n. 24 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE
LA COMUNICAZIONE E L’EMERGENZA
di Elisa Romoli
Laureata in "Potenziale umano, formazione, ed innovazione nei contesti sociali ed organizzativi" e allieva della III edizione del Corso di Alta Formazione in
Psicologia delle Emergenze (2012/2013)
Solitamente, quando si parla di emergenza si pensa subito ad interventi di soccorso, e solo raramente si riflette sull’intero ciclo di previsione, prevenzione, soccorso e ricostruzione. Senza sminuire l’importanza dei secondi due aspetti, è necessario attribuire la giusta rilevanza alla conoscenza e allo studio dei fattori di rischio nel rapporto uomo-ambiente, dei meccanismi di protezione attivati in situazioni di emergenza, delle forme migliori di comunicazione da attuare nelle emergenze e della rappresentazione dei rischi fra la popolazione, così da poter realizzare delle corrette previsioni circa le risposte individuali nei confronti dei rischi ambientali. Parimenti, è bene considerare l’importanza della formazione, tanto del personale di soccorso quanto della popolazione esposta, per mettere gli individui in grado di reagire correttamente e gestire tutta l’affettività correlata.
Attraverso degli interventi sulla popolazione è possibile migliorare la capacità di gestione del panico e quella di adottare risposte adeguate. Riuscendo a conservare la volontà di vivere e di lottare, la fiducia e la speranza nei soccorsi e il controllo dei sentimenti di impotenza e dei pensieri depressivi, i superstiti avranno maggiori probabilità di sopravvivere, nonostante gli altri fattori ambientali possano essere sfavorevoli.
E’ quindi evidente come nella gestione e nella prevenzione delle crisi la comunicazione costituisca un elemento di primaria importanza.
La comunicazione del rischio deve essere il più comprensibile, chiara e coerente possibile, ed essere formulata tenendo conto della fonte della comunicazione, dei destinatari, dei luoghi e dei tempi in cui essa avviene, oltre che dei risultati che si intendono raggiungere, poiché l’efficacia è strettamente legata alla percezione, all’immagine e alla credibilità di chi la pone in essere; inoltre, visto che il target è la popolazione, è necessario conoscerne le caratteristiche e l’esigenza informativa specifica, per poter creare dei messaggi che utilizzino un linguaggio adeguato alle competenze del pubblico, non dando nulla per scontato e garantendo la massima fruibilità dell’informazione.
Poiché il messaggio viene decodificato in funzione delle conoscenze pregresse e delle caratteristiche culturali dagli attori interessati, esso deve essere elaborato impiegando strategie anticipatorie delle esigenze del pubblico e facendo sì che sia conforme ai suoi bisogni, flessibile e coesivo rispetto al bisogno di unità e di identità del sistema sociale colpito. Tale processo di comunicazione si deve avviare l’istante il più prossimo possibile all’evento o alla diffusione di un allarme di rischio fra il pubblico, così da rispondere all’esigenza di capire cosa stia accadendo e definire il quadro cognitivo di riferimento, evitando che ognuno formi autonomamente la propria interpretazione.
Per chi sta cercando di fronteggiare un’emergenza, è infatti indispensabile ricevere: informazioni accurate e complete su quanto è successo o sul rischio a cui si è esposti; indicazioni su comportamenti operativi da tenere; comunicazioni costanti sugli sviluppi della situazione e sulle azioni intraprese. La finalità principale del comunicatore, in questo caso, è quella di ridurre nel pubblico il livello percettivo di crisi e promuovere il controllo della situazione, garantendo una rapida trasmissione e un’efficace comprensione dei messaggi. Soprattutto, si mira a che i messaggi diano adito ad azioni adattive appropriate e significative, riducendo al minimo le reazioni di paura ed ansia che promuoverebbero e legittimerebbero il diffondersi di reazioni disfunzionali per la risoluzione della crisi.
È ugualmente fondamentale, in fase preventiva, tarare le comunicazioni sulle motivazioni e sul trascorso sociale del target, per inserire le nuove informazioni in un contesto strutturato ed evitare che vengano dimenticate o sottovalutate, con il rischio che l’intera campagna di comunicazione risulti inutile nel momento in cui potrebbe essercene più bisogno.
La comunicazione nella gestione e nella prevenzione delle emergenze
Una calamità improvvisa condiziona tutti gli avvenimenti successivi e rende estremamente complesso operare in maniera coordinata, pianificata e programmata. In simili contesti, anche la comunicazione richiede attenzioni particolari: l’imprevedibilità e la specificità che caratterizzano le emergenze rendono inattuabili modalità di programmazione e gestione aprioristica dei piani di comunicazione; tuttavia, vista l’urgenza della risposta, è indispensabile il tentativo di programmazione preventiva di piani d’emergenza anche per quanto riguarda la componente comunicazionale.
Affinché la comunicazione segua un piano efficace e funzionale è necessario prima di tutto ripetere che esiste un’organizzazione per il soccorso pronta ad intervenire; quindi, non appena si conosceranno in maniera certa gli accadimenti, informare su cosa è accaduto e cosa sta accadendo; ergo, appena delineato un piano di intervento, si dovrà prendere nuovamente la parola per diffonderlo in ogni modo possibile, assieme alle direttive da seguire. Sarà bene comunque continuare a fornire periodici aggiornamenti sugli effetti del piano di intervento, accompagnati da interventi di esperti e consulenti che permetteranno di approfondire gli argomenti solo accennati nelle fasi di vera emergenza, chiarendo meglio quanto accaduto e delineando i possibili scenari futuri, fino al risolversi dell’emergenza.
Nel far ciò, è importante ricordare che chi riceve le informazioni ha già un quadro personale dell’accaduto, stilato in base alle esperienze pregresse e alle notizie acquisite. E’ fondamentale, dunque, coordinare ed uniformare i comportamenti della popolazione impartendo direttive ed istituendo divieti, minimizzando gli effetti negativi e disfunzionali di iniziative personali spontanee. In questa fase la comunicazione dovrà essere autorevole e determinata, cosicché la maggior parte dei cittadini sia disponibile ad abdicare alle proprie autonomie decisionali disfunzionali, seguendo le direttive impartite.
Ciononostante, l’aver conquistato la fiducia della popolazione portandola ad assumere un atteggiamento di collaborazione e di disciplina non può essere considerato un risultato acquisito definitivamente: informare con chiarezza sull’evolversi degli eventi e sugli obiettivi raggiunti renderà la popolazione parte attiva e consentirà una più agevole accettazione delle misure adottate, così come qualora il precipitare degli eventi lo richiedesse, renderà più facile imporre una disciplina più ferrea e chiedere sacrifici più duri.
In termini di prevenzione, invece, assume un ruolo fondamentale la formazione, volta principalmente ad insegnare a gestire le emozioni negative connesse alle esperienze traumatiche, per incrementare le capacità auto-protettive individuali. Principalmente si tratta di acquisire un rapporto corretto con lo spazio circostante: avere un rapporto più consapevole con l’ambiente e con i rischi del territorio, infatti, rende l’individuo capace di attivare delle pre-rappresentazioni mentali degli eventi che si potrebbero potenzialmente verificare, e di conseguenza lo rende capace anche di prevenirli o di attivare sequenze comportamentali corrette. Con comportamenti auto protettivi si intendono, a livello operativo, delle sequenze comportamentali di primo soccorso o di contenimento delle conseguenze, e a livello affettivo il controllo delle emozioni avverse suscitate dall’emergenza.
Costruire queste abilità di base significa non solo fornire informazioni circa la natura dei rischi e le norme di protezione, ma soprattutto costruire negli individui dei riferimenti cognitivi e delle competenze affettive ad attivazione immediata, di facile utilizzo e di stabile acquisizione, applicabili trasversalmente a qualsiasi emergenza: ci si riferisce alla tolleranza affettiva dell’ansia e della depressione, all’elaborazione cognitiva di strategie di autosoccorso e allo sviluppo di competenze gruppali per il reciproco sostegno e auto-aiuto. Questo risultato non è raggiungibile con esperienze discontinue o nozionistiche, perché è necessario un percorso di apprendimento che parte sin dai primi anni di vita. Per questo tutti gli interventi dovrebbero comprendere tanto i bambini e gli adolescenti quanto gli adulti, con una pianificazione costante sul territorio che preveda ed integri aspetti scientifici, sociali, culturali, educativi, tecnici e politici. Grazie all’esperienza sul campo, gli individui coinvolti potranno collegare le nozioni apprese ad un vissuto specifico, con il quale potranno realizzare una migliore integrazione e interiorizzazione degli apprendimenti auto protettivi, garantendone una stabile assimilazione.
La semplificazione dei testi
Se la comunicazione è uno degli strumenti d’elezione per la diffusione di un’adeguata cultura del rischio, allora è fondamentale che riesca a raggiungere la più ampia porzione possibile di popolazione, per cui è necessario che sia accessibile e comprensibile anche per le fasce culturalmente e linguisticamente più deboli della società: i messaggi debbono essere chiari, semplici, concreti e vicini all'esperienza e ai bisogni della popolazione. Poiché in ogni sistema comunicativo maggiore è la distanza linguistica, sociale, culturale ed esperienziale fra l’emittente e il ricevente e maggiore è il rischio che il processo di comprensione incontri delle difficoltà, è necessario che chi elabora i testi sappia misurare la comunicazione sulle caratteristiche dei destinatari, sui loro bisogni, sulle finalità che motivano la comunicazione e sul tempo necessario per recepire e comprendere il messaggio.
E se è fondamentale la conoscenza dell’argomento da trattare, è tuttavia altrettanto importante tener conto dei sistemi di credenze dei riceventi, delle abitudini, dei pregiudizi e delle abitudini di pensiero acquisite attraverso l'accettazione indiscussa di convinzioni di tipo familiare, sociale, culturale e politico, che potrebbero distorcere il significato della comunicazione o farla fallire irrimediabilmente.
Senza soffermarsi su questi punti, in termini di progettazione gli aspetti su cui focalizzare l’attenzione affinché il messaggio risulti il più possibile chiaro e comprensibile sono essenzialmente l’organizzazione logico-concettuale del testo, che dovrebbe avvenire tenendo conto dei destinatari, degli obiettivi e della priorità delle informazioni, e l’uso di accorgimenti sintattici e lessicali volti a semplificare la decodificazione del messaggio nel destinatario.
Il problema dell’organizzazione logico concettuale del testo investe essenzialmente 2 momenti: quello della pianificazione e dell’organizzazione delle informazioni e quello di vera e propria scrittura del testo.
Perché un testo risulti di facile lettura è necessario che chi ne progetta la stesura definisca una scaletta avendo chiara la rilevanza delle informazioni, e che organizzi queste ultime in modo tale che siano inequivocabilmente evidenti e distinguibili quelle principali (poste prima e in evidenza) da quelle secondarie o di supporto.
Oltre alle informazioni principali, è bene esplicitare tutte le informazioni necessarie alla comprensione, in modo che il ricevente non debba sforzarsi di interpretare il testo con il rischio di allontanarsi con i propri processi cognitivi da quanto lo scrivente voleva comunicare.
A livello sintattico meno si utilizzano costruzioni lunghe e complesse, meno problemi si incontrano nella comprensione del testo: eliminare tutto ciò che è ridondante o superfluo fa sì che l'attenzione del lettore si concentri direttamente sul contenuto principale della comunicazione. Per contro, però, anche l’eccesso di brevità può essere controproducente e può rendere il testo oscuro o difficile da capire, specie se si condensano in poche parole molte idee o informazioni senza spiegarle.
Sul piano lessicale, infine, un testo è chiaro se chi legge è in grado di comprendere tutte le parole che esso contiene, pena il non riuscire a ricostruirne il senso completo: un testo dovrebbe quindi usare parole note a tutti, di significato immediato e concreto, limitando l'uso dei verbi derivati da sostantivi, evitando il ricorso a metafore e figure retoriche, ed usando parole di uso comune piuttosto che termini tecnici o arcaici; anche l'uso appropriato della punteggiatura è un valido aiuto alla comprensione perché sostituisce, almeno in parte, alcuni fenomeni che caratterizzano il parlato (ritmo, tono, volume della voce, pause, esitazioni, ecc.) e che per chi ascolta costituiscono un importante aiuto per la comprensione.
Da ultimo, la veste grafica è un ulteriore elemento che concorre alla leggibilità del testo: la grandezza e la tipologia del corpo tipografico assume per alcune fasce di destinatari un ruolo di particolare rilevanza, così come alcune caratteristiche del progetto grafico. L'uso eccessivo di evidenziazione attraverso il ricorso al neretto o al corsivo, quando non strettamente necessario, può risultare controproducente dal punto di vista della leggibilità; stessa cosa vale anche per l'uso del colore e delle immagini, che se da una parte possono vivacizzare il testo, dall'altra possono finire per schiacciarlo e monopolizzare l'attenzione del lettore, con il rischio così di distoglierla dalle informazioni principali.
Ad esempio di quanto detto finora, prendiamo in esame un cartello affisso provvisoriamente nella sala studio di una biblioteca pubblica (Fig. 1).
Vediamone quindi le criticità e proviamo a riformulare il testo per incrementarne l’efficacia e l’utilità intervenendo sul piano logico – contenutistico e sul livello sintattico e lessicale.
Per quanto attiene al livello logico, gli step di un processo di semplificazione normalmente prevedono:
leggere e rileggere il testo;
prendere nota dei punti più o meno oscuri;
reperire le informazioni necessarie per capire il testo, sia quelle esplicitamente segnalate, sia quelle che richiedono ulteriori ricerche;
prendere nota dei punti che fanno riferimento implicito a conoscenze presupposte, ma necessarie per la comprensione del testo;
recuperare il materiale relativo alle informazioni assenti, ma esplicitamente segnalate, e a quelle presupposte.
Sul piano dei contenuti generalmente si interviene:
formulando ipotesi di ridistribuzione delle informazioni, attingendo da quelle già presenti nel testo e da quelle recuperate da fonti esterne ad esso;
separando chiaramente le informazioni principali da quelle di supporto, attraverso ausili linguistici e, dove possibile, grafici e tipografici;
verificando su piccoli gruppi di controllo l'ipotesi di distribuzione delle informazioni, cioè la loro sequenza logica e la trasparenza dei collegamenti tra di esse.
Nel nostro caso, non vi sono informazioni mancanti da esplicitare o da chiarire, mentre sarebbe utile separare attraverso una riformulazione sintattica le informazioni principali da quelle di supporto, dando maggiore evidenza e priorità al vero contenuto del messaggio che nella versione affissa quasi scompare in ultima posizione, con il rischio che passi inosservato o che si abbandoni la lettura ancor prima di raggiungere il punto focale. Sarebbe sicuramente più utile inserire come primo elemento il divieto di aprire la finestra, che è l’informazione principale, e poi proseguire con le motivazioni che costituiscono le affermazioni di supporto.
Sempre a livello di contenuti, si può sottolineare l’assenza di nominativi e recapiti del personale da contattare per eventuali necessità, facendo genericamente riferimento al "personale bibliotecario", che però fruitori non abituali del servizio potrebbero non conoscere o non sapere come contattare.
Ancora, anziché utilizzare il grassetto per l’intera comunicazione, si potrebbe evidenziare graficamente in questo modo solo la parte focale del messaggio, ovvero il "si avvisa l’utenza di non aprire la finestra", riportandola magari in stampatello, anche se, come si dirà in seguito, nell’economia della strutturazione del messaggio "l’utenza" si potrebbe anche rimuovere a vantaggio della brevità, della comprensibilità e dell’incisività del messaggio.
A livello linguistico, gli interventi di riscrittura che generalmente si eseguono consistono
nell’usare, a parità di senso, termini di uso comune al posto di termini troppo ricercati, arcaici, o assenti o troppo lontani dall'uso comune;
nel caso il loro utilizzo sia inevitabile, nello spiegare con parole di uso comune i termini estranei o troppo lontani dall'uso comune o assunti in un'accezione tecnica o specialistica, ogni volta che questi vengano adoperati;
nello scrivere frasi brevi e nel preferire, ove possibile, la coordinazione alla subordinazione;
in caso di ricorso alla subordinazione, nell’evitare accuratamente di incastrare subordinate tra di loro;
a parità di senso, nel preferire l'uso dell'indicativo al congiuntivo ogni volta che sia possibile;
nell’evitare accuratamente la forma passiva e quella impersonale;
nell’evitare il più possibile di affidare a un solo sostantivo il senso dell'intera frase.
Nel nostro caso sarebbe utile eliminare alcuni termini tecnici o di uso poco frequente, come "cerniera" dell’anta, "imperniata" e si avvisa "l’utenza", e riformulare l’intero testo all’insegna della brevità e della semplicità, evitando le plurime subordinazioni e di conseguenza la necessità di ricorrere all’uso del congiuntivo e del gerundio, che rendono necessario un maggiore sforzo cognitivo per la comprensione del testo.
Dopo tutte queste riflessioni, potremmo dunque riformulare il cartello nel seguente modo:
Altro accorgimento del caso: il cartello è posizionato nell’angolo in basso della finestra e potrebbe passare inosservato ad un utente distratto o sovrappensiero; al contrario, se fosse messo a cavallo delle due ante, in modo da bloccare addirittura l’apertura della finestra, o accanto alla maniglia, godrebbe sicuramente di maggiore visibilità, aumentando le probabilità che anche una persona distratta legga il divieto prima di aprire la finestra.
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