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C.I.P. n. 21 - TERRITORIO
L’ALLUVIONE IN SARDEGNA DEL 18 NOVEMBRE 2013
Giovanni Maria Di Buduo
Geologo
Fig. 1 – (Ansa)
Il 18 novembre 2013 un intenso fenomeno meteorologico ha prodotto allagamenti e frane in diverse zone della Sardegna, causando ben 17 vittime e danni per centinaia di milioni di euro.
Secondo l’ "Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica" del CNR la Sardegna ha un valore di mortalità media per inondazione più alto della media nazionale: dal 1950 al 2012 tra frane e inondazioni sono stati registrati 61 eventi che hanno causato danni alla popolazione con 42 vittime (totale di morti, dispersi e feriti) per frana e 50 per inondazione (fenomeni che spesso si verificano insieme).
Su 377 comuni della Sardegna sono ben 306, cioè l’81%, quelli con una porzione di territorio a rischio idrogeologico più o meno estesa (fig. 2). La Sardegna è tra le regioni italiane che spendono meno come prevenzione, ed è tra quelle che spendono di più per i danni provocati da disastri in gran parte evitabili (La Nuova Sardegna, 06/12/2013).
Fig. 2 – Mappa del rischio idrogeologico in Sardegna e degli effetti dell’evento meteorologico del 18/11/2013 (Ansa).
"In Sardegna - spiega il presidente dell'Ordine Geologi della Sardegna, Davide Boneddu - sono 337 i ponti stradali che in caso di eventi meteorologici intensi potrebbero essere causa di inondazioni, 15 i ponti ferroviari, mentre 128 sono le aree urbanizzate che interessano le aree di pertinenza fluviale, 44 strutture fognarie sono insufficienti, 31 opere di difesa del suolo non sono più efficienti e 198 sono i punti di alvei o fiumi che necessitano di manutenzione".
Solo ad Olbia (fig. 3) i danni subiti ammontano a circa 250 milioni di euro (circa 110 subiti dalle infrastrutture, e 140 relativi a beni mobili e, pertanto, difficilmente rimborsabili), con 3.100 case allagate e danneggiate e circa 7.000 persone coinvolte (meteoweb.eu, 06/12/2013).
Lo scorso 11 dicembre la Protezione Civile ha diramato l’elenco definitivo dei comuni colpiti dall'alluvione del 18 novembre: sono ben 61, le province più colpite sono quelle di Nuoro (18 comuni colpiti), Oristano (11) e Olbia Tempio (11) (fig. 4 e 5).
Fig. 3 – Dettaglio degli effetti dell’evento meteorologico del 18/11/2013 presso Olbia (meteoweb.eu).
Fig. 4 – Il ponte danneggiato a Dorgali dove ha perso la vita l’agente di Polizia Luca Tanzi (Polizia di Stato-Ap-Lapresse).
Fig. 5 – Il crollo del terrapieno della strada provinciale Olbia-Tempio in località Monte Pino, costato la vita a 3 persone (Ansa).
È l’ennesimo bollettino di morti e danni a seguito di fenomeni naturali sul nostro territorio.
Tanti ce ne sono stati, tanti ce ne saranno purtroppo, e ogni volta la causa principale è sempre la stessa: l’insufficiente prevenzione, cioè la carenza di una pianificazione territoriale che tenga adeguatamente conto delle intense dinamiche dei fenomeni naturali sul nostro territorio, aggravata da un abusivismo diffuso legittimato da ripetuti condoni nel corso del tempo, dalla mancata preparazione della popolazione, dalla carenza dei piani comunali di protezione civile. Questi ultimi sono purtroppo percepiti da molti amministratori locali più che altro come una mera pratica burocratica e non come un potente strumento di conoscenza del proprio territorio e di salvaguardia dei cittadini, per i quali la mancanza di preparazione si traduce in comportamenti drammaticamente erronei durante l'emergenza.
La prevenzione purtroppo politicamente non paga, perché non fa notizia.È più facile incolpare i "cambiamenti climatici", le "bombe d’acqua", la "fatalità".
Termini come "bomba d’acqua", "territorio fragile" e "dissesto idrogeologico" sono fuorvianti. Una bomba quando cade non lascia scampo, distrugge inevitabilmente, ma non è così per la pioggia che cade sul nostro territorio, che è dissestato e fragile non a causa della natura, ma dell’uomo ("Il dissesto idrogeologico", CIP n. 15, 2011).
La "bomba d’acqua" su un "territorio fragile" a causa del "dissesto idrogeologico" alimenta quel fatalismo che affligge una popolazione a cui è gravemente sconosciuta la reale dinamica dei fenomeni naturali; fatalismo che distrae dalle vere cause dei disastri e dal loro rimedio (la prevenzione).
È vero che negli ultimi anni si sta assistendo ad un aumento in intensità e frequenza dei fenomeni meteorologici cosiddetti "estremi", ma questi stanno semplicemente mettendo drammaticamente in evidenza la pessima gestione del territorio e l’assenza di un adeguato e concreto programma di prevenzione e di preparazione alle emergenze connesse ai rischi naturali. Poiché tali fenomeni hanno una frequenza maggiore allora appare ancora più urgente mettere in atto un’adeguata politica di gestione oculata del territorio, a partire dall’aggiornamento dettagliato dei piani paesaggistici e di bacino (si veda per esempio la fig. 7: l’esondazione è avvenuta prima del punto previsto), cui deve seguire un’approfondita revisione della programmazione territoriale e urbanistica.
Il rischio di alluvione per una determinata area non dipende solo dal regime delle precipitazioni, ma anche da altri fattori che molto spesso influiscono decisamente sulla pericolosità dell’evento, influenzando la quantità di acqua che si riversa nelle aste fluviali in un determinato intervallo di tempo: le condizioni morfologiche e geologiche del territorio, e la densità e le caratteristiche dell'urbanizzazione.
Il fiume è un elemento altamente dinamico del territorio: nel tempo modifica il suo tracciato e lungo di esso avvengono processi di erosione, trasporto e sedimentazione in proporzioni diverse a seconda della pendenza, delle caratteristiche di rocce e terreni su cui scorre, della quantità d’acqua.
Un fiume modifica nel tempo il suo tracciato nella pianura: è impensabile tentare di stabilizzarne il corso con la costruzione di argini, o ancora peggio di ridurne e cementificarne la sezione. Il risultato di interventi del genere è l’aumento della possibilità che si verifichino esondazioni a causa del fatto che i sedimenti, invece di avere la possibilità di spargersi sull’area esondabile del fiume, si concentrano sul fondo dell’alveo, riducendo la sezione disponibile; quindi col passare del tempo, a parità di portata si ha un livello d’acqua sempre più alto con conseguenze facilmente immaginabili (l’alluvione a Genova del 4 novembre 2011 ne è un tragico esempio).
Il diffuso abusivismo edilizio che ha afflitto Olbia soprattutto negli anni settanta ha potuto giovare di tre sanatorie nazionali e ben sedici piani di risanamento urbanistico: interi quartieri si trovano oggi a rischio alluvione (fig. 6 e 7).
Fig. 6 – PAI (Piano Assetto Idrogeologico) dell’Autorità di Bacino Regionale della Sardegna, zone soggette a rischio idraulico nell’abitato di Olbia. L’area in blu indica rappresenta la zona urbanizzata all’inizio del XX secolo.
Fig. 7 – PAI (Piano Assetto Idrogeologico) dell’Autorità di Bacino Regionale della Sardegna, zone soggette a rischio idraulico nell’abitato di Olbia lungo il Rio de Seligheddu. L’asterisco indica il luogo in via Belgio dove un’auto è stata travolta dalle acque causando il decesso di due persone. L’immagine a sinistra dimostra che nel 1954 l’urbanizzazione di aree a rischio era limitatissima, a differenza di oggi.
L’azione concreta e proficua realizzabile nell’immediato è quella di salvaguardare l’incolumità dei cittadini, mettendo in atto adeguati sistemi di allerta a livello locale e una capillare informazione alla popolazione.
Il vero rimedio per rendere sempre più rari e meno gravosi i bollettini di morti e danni a seguito di fenomeni naturali è l’istituzione di presidi territoriali idrogeologici in cui il geologo sia messo nelle condizioni di individuare le criticità del territorio e di orientare conseguentemente le scelte adeguate per risolverle.
Galileo Galilei scrisse nel suo "Discorso intorno a due Scienze nuove" "è più facile studiare il moto di corpi celesti infinitamente lontani che quello del ruscello che scorre ai nostri piedi": è ora che impariamo a tenere i piedi adeguatamente lontani dal ruscello.