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C.I.P. n. 15 - TERRITORIO
IL "DISSESTO IDROGEOLOGICO"
UN DISASTRO ITALIANO
Giovanni Maria Di Buduo
Geologo
Dissesto idrogeologico è un termine infelice perché molto fuorviante: frane e alluvioni non sono dissesti, ma sono la concretizzazione della normale dinamica della superficie terrestre. Percepiamo tali fenomeni come dissesti perché essi provocano danni e vittime, ma nella quasi totalità dei casi ciò avviene a causa della pessima interazione tra uomo e territorio. Se dovessimo piantare una tenda di certo non andremmo a farlo accanto in un’area piena di cactus, perché in tale caso il rischio di pungersi sarebbe molto elevato. Sembra una sciocca banalità, invece noi riusciamo a fare molto peggio: la tenda la mettiamo non a fianco al cactus, ma proprio sopra, basti pensare ai quartieri costruiti nelle fiumare calabre, o le case e i fabbricati industriali e commerciali realizzati nelle aree golenali del Po e dei suoi affluenti (e lungo tanti altri fiumi italiani).
Fig. 2 – Alluvione a Genova del 4 novembre 2011 (foto: Vigili del Fuoco).
In Italia abbiamo la deleteria abitudine di porre attenzione al nostro rapporto con il territorio solo quando qualcuno perde la vita, invece dovremmo tenere ben in mente ogni giorno che l’82% dei comuni italiani è interessato da almeno un’area ad elevata criticità perché soggetta ad instabilità di versante o alla possibilità di alluvione, in parte perché ereditiamo un patrimonio edilizio realizzato quando la conoscenza delle dinamiche esogene erano poco o per niente conosciute, e in parte perché ancora oggi a volte non si pone un’attenzione esauriente all’interazione con il territorio.
In Regioni come Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d’Aosta e nella provincia autonoma di Trento non c’è un solo comune che non sia soggetto a rischio idrogeologico (fig. 4), in altre 8 regioni la percentuale di comuni a rischio è superiore al 90%; la regione meno a rischio è il Veneto, in cui comunque meno di un comune su 2 può dormire "sonni tranquilli". Non c’è provincia italiana che non sia interessata da gravi dissesti. E stiamo considerando solo instabilità di versante e alluvioni, se aggiungessimo anche la pericolosità sismica le cifre aumenterebbero.
Fig. 3 – Una delle cause dell’alluvione a Genova del 4 novembre 2011: la pesante urbanizzazione del torrente Fereggiano ha ostacolato il naturale deflusso delle acque causando l’alluvionamento delle strade (immagine: Prof. Franco Ortolani).
Fig. 4 – Sintesi dei dati raccolti relativi ai Piani Straordinari approvati o ai Piani stralcio per l'Assetto Idrogeologico predisposti, adottati o approvati dalle Autorità di bacino, Regioni e Province Autonome. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (2008).
Entriamo nel dettaglio in una regione: nel Lazio sono state censite oltre 5 mila frane, e 372 comuni, il 98% del totale, hanno almeno un’area ad elevato rischio di alluvione o di frana; complessivamente le aree in dissesto idraulico o geomorfologico raggiungono una superficie di circa 1.309 chilometri quadrati, pari al 7,6% della superficie regionale. Roma rappresenta il comune soggetto al maggiore rischio idrogeologico, a causa dell’elevato valore dei beni esposti a frane ed alluvioni, dell’ampia estensione territoriale e del numero di abitanti coinvolti. Nel comune di Fiumicino il 39% della superficie è un’area esondabile. Complessivamente nella sola regione Lazio oltre 350 mila cittadini sono soggetti a rischio per frana o alluvione.
Frane e alluvioni su tutto il territorio nazionale sono prese in esame dal Progetto Aree Vulnerate Italiane (AVI) del CNR-GNDCI, dal Progetto Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (IFFI) dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e dai Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) delle Autorità di Bacino. (fig. 4 e 5) Nel ventesimo secolo il progetto AVI individua oltre 12.600 fra morti, feriti e dispersi, migliaia di case e ponti distrutti e chilometri di strade e ferrovie interrotte. Il numero degli sfollati e dei senzatetto supera le 700.000 persone (di cui il 75% a causa di inondazioni). Nel periodo compreso fra il 1900 ed il 2002 si sono verificati 4.016 eventi con gravi danni, di cui più di 1600 hanno prodotto vittime (5.202 per frana e 2.640 per alluvioni).
Il Progetto IFFI ha censito 485.000 frane, che interessano un’area complessiva di 20.721 km quadrati, pari al 6,9% del territorio nazionale; solo il 4% sono frane stabilizzate o relitte, mentre 412.000 sono attive con tempi di ricorrenza da brevi a molto lunghi.
In realtà il numero è sottostimato: come sa bene ogni geologo che compie assiduamente rilevamento geologico e geomorfologico sul territorio esistono molte situazioni di instabilità non censite perché poco evidenti e/o poco estese, o a volte generate da interventi scriteriati da parte dell’uomo di recente realizzazione (tra cui opere oggetto di condono!). Il numero reale di situazioni di instabilità di versante sull’intero territorio nazionale potrebbe essere verosimilmente superiore a un milione.
Nei PAI vengono individuati più di 11.000 interventi per la sistemazione delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale, con un fabbisogno di circa 40 miliardi di euro. Di questi, circa 11 miliardi sono necessari per mettere in sicurezza le aree a più elevato, rischio idrogeologico.
Fig. 5 – Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (2008).
Il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi ed alluvionali dal 1948 al 1990, rivalutato in base agli indici ISTAT, è di circa 30 miliardi di euro (Catenacci, 1992); considerando l’intervallo di tempo dal 1951 al 2009, sempre rivalutato in base agli indici ISTAT, il costo risulta superiore a 52 miliardi di euro (Giannella & Guida, 2010). Considerando anche i danni da terremoti si arriva ad una cifra di 213 miliardi di euro.
La media annua degli stanziamenti per la prevenzione dal 2005 al 2008 (ex D.L. 180/98) è stato di 300 milioni di euro (lo stato di attuazione degli interventi è monitorato dall’ISPRA nell’ambito del Progetto RenDiS - Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo), negli : con tale cifra annuale occorrerebbero più di 100 anni per la messa in sicurezza del Paese (occorrono circa 40 miliardi euro).
Attualmente almeno una volta all’anno la Protezione civile destina alle emergenze somme superiori a quelle stanziate per la prevenzione.
Nel mese di dicembre 2011 sono stati presentati i dati dell’indagine "Ecosistema Rischio 2011", realizzata da Legambiente con la collaborazione del Dipartimento della Protezione Civile (fig. 6); i 1.316 comuni presi in considerazione possiedono in zone a rischio frana: 743 (56%) fabbricati industriali, 403 (31%) interi quartieri, 257 (20%) strutture pubbliche sensibili come scuole e ospedali, e 339 (26%) strutture ricettive turistiche o commerciali. Dall’indagine risulta che non vi è una regione in cui almeno 1 comune su 2 abbia svolto un’opera sufficiente di mitigazione dei rischi cui è sottoposto; in 10 regioni oltre 3 comuni su 4 a rischio hanno ottenuto una valutazione negativa.
Nel periodo 1990-2010 sono stati spesi 22 miliardi di euro per riparare i danni causati da frane ed alluvioni (mentre si stimano richieste per 60 miliardi), quindi più di 1 miliardo di euro all’anno, a fronte di una media annuale (valutata nel periodo 1991-2008) di 400 milioni di euro per la prevenzione.
Il problema è tutto qui: la prevenzione politicamente non paga, fa più effetto sull’opinione pubblica l’intervento e la ricostruzione a seguito di una calamità piuttosto che un costante piano di prevenzione attraverso opere di stabilizzazione e protezione, la manutenzione dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica, un’adeguata campagna di informazione e preparazione per i cittadini, ecc.
Anzi, in molti casi l’opera di prevenzione può essere politicamente controproducente, soprattutto quando la valutazione del rapporto costi-benefici per mitigare il rischio in una determinata area fa propendere per la scelta di delocalizzare case e/o attività commerciali e industriali, con il conseguente notevole disagio per la popolazione, che poco comprende tale necessità se non è preceduta da un evento disastroso.
E teniamo ben presente che le risorse economiche stanziate per ciascun evento bastano a coprire solo una parte dei danni; si riporta a titolo di esempio uno stralcio dell’Audizione in Commissione Ambiente della Camera del Sottosegretario Guido Bertolaso il 29 luglio 2009: "…La somma delle richieste per la riparazione dei danni causati dalle avversità atmosferiche nel periodo ottobre 2008 – giugno 2009 è pari a 4,6 miliardi di euro. Queste quantificazioni scontano una serie di fattori: ad esempio, la consapevolezza che, se si chiede cento, magari si rimedia venti o trenta; l'esigenza di indicare anche danni che magari non sono stati causati da quel fenomeno specifico, ma già prima necessitavano un intervento ecc. Ma anche se si trattasse di un solo miliardo di euro di danni sarebbe comunque una cifra considerevole e 4,6 miliardi di euro sono una cifra più di cento volte superiore a quella dei fondi che il Ministero dell‘Ambiente ha a disposizione per le attività di difesa del suolo. A fronte di somme di questo genere si riesce a stanziare al massimo il 10 per cento di quello che viene richiesto..."
A causa della molteplicità dei soggetti competenti inoltre manca una programmazione coordinata degli interventi di prevenzione del rischio (per superare questa frammentazione, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare sta svolgendo le attività di programmazione del miliardo di euro previsto dalla legge finanziaria 2010 attraverso accordi con le Regioni, le Autorità di Bacino e il Dipartimento della Protezione Civile).
In Italia manca una cultura della prevenzione geologica e il geologo continua ad essere quasi assente nell’amministrazione pubblica e poco considerato anche nella pianificazione territoriale.
Fig. 6 – Legambiente (2011), dati riferiti a 1.316 comuni. I parametri considerati per la mitigazione del rischio sono i seguenti: Opere di messa in sicurezza, Manutenzione ordinaria sponde e opere difesa idraulica, Delocalizzazione case e/o fabbricati industriali da aree a rischio, Recepimento sistema allertamento regionale, Piano d’emergenza comunale aggiornato ultimi due anni, Attività di informazione e sensibilizzazione alla popolazione, Esercitazioni.
Riferimenti bibliografici e links
Legambiente (2011): "Ecosistema Rischio 2011 - Monitoraggio sulle attività delle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico".
ISPRA (2011): "Annuario dei dati ambientali 2010".
Geol. Gianluigi Giannella, Geol. Tiziana Guida (Forum degli Ordini Regionali e del Consiglio Nazionale dei Geologi, 16 giugno 2010): "I costi del dissesto idrogeologico" (http://www.geologilazio.it/ordine/forum-rischio-frana.aspx).
ISPRA: "Progetto ReNDiS - Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo" (http://www.rendis.isprambiente.it/rendisweb/).
ISPRA: "Progetto IFFI - Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia" (http://www.mais.sinanet.apat.it/cartanetiffi/.
CNR-GNDCI (Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche): "Progetto AVI - Aree Vulnerate Italiane" (http://avi.gndci.cnr.it/).
Autorità di Bacino del Fiume Tevere: Inventario dei fenomeni franosi - Tavole di aggiornamento (http://www.abtevere.it/node/580).
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Direzione Generale per la Difesa del Suolo (2008): "Sintesi dei dati raccolti relativi ai Piani Straordinari approvati o ai Piani stralcio per l'Assetto Idrogeologico predisposti,
adottati o approvati dalle Autorità di bacino, Regioni e Province Autonome".
Vincenzo Catenacci, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (1992): "Il dissesto geologico e geoambientale in Italia, dal dopoguerra al 1990".