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C.I.P. n. 16 - TERRITORIO
CIVITA DI BAGNOREGIO
Giovanni Maria Di Buduo
Geologo
Fig. 1 - Civita di Bagnoregio
Il piccolo paese Civita di Bagnoregio (frazione di Bagnoregio, provincia di Viterbo) e il territorio circostante noto come "Valle dei Calanchi" (fig. 2) (corrispondente alle valli del Rio Torbido e del suo affluente sinistro Fosso di Bagnoregio) rappresentano un’area di interesse paesaggistico straordinariamente rilevante da valorizzare e salvaguardare, con caratteristiche che la rendono quasi unica a livello nazionale ed internazionale.
Tali caratteristiche sono:
la varietà, la rapidità e l’elevata densità areale dei fenomeni di instabilità dei versanti;
la possibilità di ricostruire con rara precisione il susseguirsi nel corso degli ultimi 300 anni delle modificazioni indotte sul nucleo urbano dall’evoluzione geomorfologica, attraverso l’esame di documenti e mappe;
la struttura urbanistica e architettonica di Civita di Bagnoregio, rimasta inalterata nei secoli (ad eccezione ovviamente dei manufatti lesionati o distrutti dalle frane);
l’alto valore faunistico – vegetazionale e la straordinaria bellezza panoramica della "Valle dei Calanchi".
Quanto elencato rende potenzialmente tutta l’area un vasto laboratorio naturale a cielo aperto dove unire la diffusione della cultura geologica e della prevenzione dei rischi naturali, la sperimentazione di sistemi di monitoraggio e di tecniche di consolidamento che garantiscano la salvaguardia paesaggistica e la compatibilità ambientale degli interventi, e la promozione turistica del territorio.
Tutto ciò può avvenire però solo con la costante, laboriosa ed efficiente collaborazione di enti e istituzioni, dei professionisti, delle imprese e dell’associazionismo locali e della cittadinanza, nel comune obiettivo della valorizzazione e di uno sviluppo ordinato e sostenibile dell’area.
Fig. 2 - Uno scorcio della "Valle dei Calanchi".
LA STORIA GEOLOGICA
Il territorio di Bagnoregio è ubicato in un contesto strutturale caratterizzato da un bacino estensionale orientato NNO-SSE (Graben del Paglia-Tevere), che si è sviluppato a partire dal Pliocene (tardo Zancleano) ed è stato colmato da sedimenti marini depositatisi nel corso di due cicli deposizionali (fig. 3). Ciascun ciclo deposizionale si è sviluppato con una distribuzione delle litofacies condizionata dalla posizione dell’ambiente di sedimentazione rispetto alle zone emerse di alto strutturale rappresentate dalla dorsale appenninica ad est (Monte Peglia – Monti Amerini): in corrispondenza dei rilievi si rinvengono quindi sedimenti grossolani costieri (ghiaie e sabbie) che passano lateralmente a sedimenti fini (argille) di ambiente più profondo (argille sabbiose affiorano estesamente nella "Valle dei Calanchi").
La successiva fase regionale di sollevamento (Calabriano - Olocene) è caratterizzata dai depositi vulcanici del Distretto Vulcanico Vulsino e dai depositi alluvionali terrazzati dei Fiumi Paglia e Tevere, che ricoprono i depositi marini. Nei fondo valle si trovano sedimenti alluvionali depositati dai fiumi a partire dalla fine dell’ultima glaciazione (circa 10 mila anni fa).
I prodotti del Distretto Vulcanico Vulsino occupano un’area di circa 2200 km 2 e sono distribuiti radialmente rispetto alla vasta conca del lago di Bolsena, interpretabile come un ampio bacino di collasso (depressione vulcano - tettonica) creatosi in più fasi successive a seguito dello svuotamento della camera magmatica principale.
Nel Distretto Vulcanico Vulsino nell’intervallo di tempo compreso all’incirca tra 590 mila e 130 mila anni fa sono stati attivi 5 complessi vulcanici: "Paleo-Vulsini" (circa 590-490 mila anni fa), "Campi Vulsini (circa 490-130 mila anni fa), "Bolsena-Orvieto" (circa 350-250 mila anni fa), "Montefiascone" e "Latera" (circa 280-140 mila anni fa) (Palladino et alii, 2010). Ciascun complesso vulcanico è stato caratterizzato da un’ampia varietà di stili eruttivi, che hanno comportato la deposizione di prodotti vulcanici molto differenti, alcuni dei quali (come le lave e le ignimbriti compatte) sono usati fin dall’antichità come materiale da costruzione.
Salendo il ponte che conduce a Civita sono ben visibili i prodotti vulcanici che ricoprono le argille sabbiose marine, e costituiscono la base della rupe: tali prodotti vulcanici sono rappresentati da depositi da ricaduta fittamente stratificati dei "Paleo-Vulsini", alternati a paleosuoli testimonianti lunghi intervalli tra una fase eruttiva e la successiva (fig. 4). Le case di Civita poggiano sul tufo litoide dell’ "ignimbrite di Orvieto-Bagnoregio", emessa circa 333 mila anni fa dal complesso vulcanico "Bolsena – Orvieto" (fig. 5).
Fig. 3 - Schema stratigrafico dei depositi dell’area compresa tra Bagnoregio e la Media Valle del Fiume Tevere.
Fig. 4 - I depositi piroclastici da ricaduta stratificati dei "Paleo-Vulsini" costituiscono la base della rupe di Civita.
Fig. 5 - Circa 333 mila anni fa il complesso vulcanico "Bolsena – Orvieto" ha emesso l’ "ignimbrite di Orvieto-Bagnoregio", su cui poggiano le case di Civita..
I PROCESSI GEOMORFOLOGICI
L'evoluzione dei versanti è legata a fenomeni complessi interagenti fra loro; in generale i due processi principali sono:
la diminuzione della resistenza a taglio di rocce e terreni a causa dell’alterazione chimico-fisica in corrispondenza della superficie;
l'aumento degli sforzi di taglio agenti, dovuti all'aumento dell'altezza e dell’acclività dei versanti per l’approfondimento delle valli avvenuto soprattutto durante l’ultimo stazionamento basso del livello marino (circa 18 mila anni fa durante l’ultimo periodo glaciale).
Nel corso del tempo l’erosione ha portato all’isolamento totale o parziale delle porzioni periferiche dei rilievi tabulari costituiti dalle vulcaniti vulsine: dal paesaggio spiccano così rupi tufacee più o meno estese, bordate da pareti subverticali, su cui sono sorti numerosi centri abitati (Bagnoregio, Lubriano, Orvieto, Orte, ecc).
Le rupi tufacee sono sottoposte a processi di scarico tensionale (stress release) e detensionamento (stress relief) dovuti rispettivamente all’approfondimento delle valli e al contrasto di rigidezza tra le argille (molto più deformabili) e le vulcaniti sovrastanti (più rigide rispetto alle argille) (fig. 6). La disarticolazione delle vulcaniti avviene gradualmente con l’apertura progressiva di fratture estensionali variamente orientate rispetto al versante, in cui le radici delle piante, l’infiltrazione dell’acqua, il termoclastismo e il crioclastismo (l’alterazione causata dalle variazioni di temperatura e dalle fasi di gelo-disgelo) contribuiscono lentamente ma inesorabilmente all’alterazione chimico-fisica delle superfici e al propagarsi delle fratture, con conseguente riduzione della resistenza a taglio.
Le condizioni di instabilità dei depositi vulcanici hanno carattere tipicamente "regressivo" e dunque, se non adeguatamente mitigate, possono nel tempo coinvolgere porzioni più interne della rupe.
Fig. 6 - Schema bidimensionale con indicazione delle condizioni tenso-deformative e dei conseguenti effetti morfologici in corrispondenza dei plateau tufacei (Bozzano et alii, 2005) [modificato].
Le argille sabbiose di origine marina sottostanti le vulcaniti sono contraddistinte da una rapida evoluzione del paesaggio e in ampie aree dai tipici calanchi (fig. 2). I calanchi sono una forma erosiva caratterizzata da vallecole con forte pendenza, prive di vegetazione, separate tra loro da sottili creste: l’acclività e l’impermeabilità del pendio argilloso riducono l’infiltrazione dell’acqua nel terreno e ne favoriscono il veloce deflusso superficiale in rivoli, con la conseguente rimozione della parte superficiale alterata dei depositi argillosi e l’incisione di un fitto reticolo di drenaggio. La presenza in quantità rilevanti di uno scheletro siltoso – sabbioso (come nella "Valle dei Calanchi") rende le argille più stabili su pendii ripidi, e favorisce quindi lo sviluppo e la durata nel tempo dei calanchi.
Oltre che con la formazione dei calanchi, la rapida evoluzione morfologica dei versanti argillosi si realizza con il verificarsi di diverse tipologie di movimenti franosi, causati da una serie di processi interagenti tra loro (fig. 7): soliflusso, colate, scorrimenti traslativi e rotazionali.
Fig. 7 - Processi geomorfologici in atto sui versanti di Civita di Bagnoregio.
Il soliflusso è un fenomeno di instabilità diffusa consistente in lenti movimenti superficiali diffusi nella coltre d’alterazione delle argille sabbiose, poco consistente e satura d’acqua a seguito di precipitazioni intense e prolungate. Il soliflusso si distingue dalle colate per la sua lentezza (la velocità e nell'ordine di qualche decimetro l’anno) e perché il terreno in movimento mantiene la sua consistenza, pur manifestando la presenza di forme superficiali diversificate, ma riconducibili nella maggior parte dei casi a lobi detritici e a piccoli terrazzamenti.
Il soliflusso può determinare situazioni di pericolosità geomorfologica, ostacolando lo sviluppo della vegetazione (che costituisce un’efficace mezzo di difesa dall'erosione) e creando danni ai manufatti e alle infrastrutture con le deformazioni del terreno e l'accumulo dei detriti. Il soliflusso può subire a luoghi delle accelerazioni per cause naturali (per esempio: piogge abbondanti, acque non adeguatamente incanalate, etc.) e/o antropiche (disboscamenti, scavi incontrollati, aumento dei sollecitazioni di taglio con strutture non adeguate, etc.) evolvendo in movimenti franosi come colamenti e/o scorrimenti roto - traslativi.
La mobilizzazione della parte alta dei versanti argillosi causa lo scalzamento alla base della rupe tufacea, con conseguente tendenza a crolli e ribaltamenti di porzioni della rupe stessa.
I fenomeni descritti sono in stato ATTIVO con ricorrenza:
"continua" (cioè sono fenomeni in atto),
"stagionale" e "a breve termine" (da 1 a 10 anni) per quanto riguarda i movimenti franosi meno estesi e/o meno profondi,
"a medio termine" (da 10 a 100 anni) e "lungo termine" (da 100 a 1000 anni) per i movimenti franosi più estesi, profondi e complessi.
Un esempio evidente della rapida evoluzione del paesaggio che caratterizza i depositi argillosi è rappresentato dalla sella morfologica su cui è ubicato il ponte che conduce a Civita di Bagnoregio (fig. 8). In epoca medioevale in quest’ area sorgevano alcuni importanti complessi quali la rocca di Castel Gomizi, il convento di S. Francesco e la contrada di Mercatello dove si trovava il palazzo comunale e dove si svolgeva il mercato cittadino: il gruppo di case che ancora oggi porta il nome di Mercatello conserva ben poco dell’ originaria forma del borgo medioevale. Nel 1830 la sella aveva una quota minima di circa 410-416 m, nel 1854 la quota era di circa 410 m, nel 1912 di circa 406 m, nel 1937 di circa 397 m e nel 1944 di circa 392 m.
Attualmente la quota minima della sella è di circa 388 m. I piloni di cemento armato del ponte raggiungono una profondità di 25 metri all’interno delle argille.
Fig. 8 - La rapida evoluzione morfologica della sella morfologica su cui è ubicato il ponte che conduce a Civita (ENEA, 2001) [modificato].
Riferimenti bibliografici
Bozzano F., Floris M., Gaeta M., Martino S., Scarascia Mugnozza G. (2005) - Assetto geologico ed evoluzione per frana di rupi vulcaniche nel Lazio Settentrionale. Boll. Soc. Geol. It., 124, 413-436.
ENEA (2001) - Il consolidamento della rupe e delle pendici di Civita di Bagnoregio: indagini pregresse e proposte di intervento. Linee guida per la salvaguardia dei beni culturali dai rischi naturali.
Palladino D.M., Simei S., Sottili G., Trigila R. (2010) - Integrated approach for the reconstruction of stratigraphy and geology of Quaternary volcanic terrains: an application to the Vulsini Volcanoes (central Italy). The Geological Society of America, Special Paper 464.