Menu principale:
C.I.P. n. 5 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE
PSICOLOGIA DELLE "PICCOLE" EMERGENZE
DUE ESPERIENZE DI SOCCORSO PSICOSOCIALE QUOTIDIANO
Bruno Rosati
(volontario di protezione civile; vicepreside, docente di Educazione alla Sicurezza nella Scuola pubblica materna, elementare e media)
Diversi anni fa mia madre, ultraottantenne, rimase chiusa da sola nella sua casa in quanto una delle sbarre telescopiche della serratura ad H della porta di ingresso, per l’allentamento di una vite di ritegno,era rimasta conficcata nel foro del pavimento. Era un po’ spaventata (anche se la mia presenza fuori la porta un po’ la rassicurava) ma bisognava comunque risolvere il problema. Essendo inutile ogni tentativo di aprire la porta senza recare danni, chiesi l’aiuto dei vigili del fuoco; si trattava per loro di un intervento semplice, in quanto la casa era al primo piano con un balcone fronte strada. I vigili arrivati sul posto, infatti, decisero di montare due pezzi di scala italiana e di salire. Prima di farlo uno di loro mi chiese il nome di mia madre. "Vera" risposi, senza capire il motivo della richiesta. Giunto sul balcone il vigile cominciò a chiamare mia madre cantilenando: "sora Vera... siamo arrivati... ecco i pompieri di Viggiù..." Poi scavalcò il davanzale, sistemò la vite, scherzò un po’ con lei e riscese per le scale condominiali mentre i colleghi smontavano la scala. Mi resi conto che il vigile, chiamando mia madre con il proprio nome, aveva stabilito con lei un rapporto confidenziale e quindi rassicurante. Non credo che quel vigile fosse laureato in psicologia o avesse frequentato master specifici; credo piuttosto che avesse maturato con gli anni un’esperienza di psicologia quotidiana, in base alla quale era giunto alla conclusione che il ruolo del soccorritore non si esaurisce con il mettere in sicurezza fisica le persone. Chi è coinvolto personalmente in un’emergenza, anche "piccola", si trova a vivere un momento evidentemente particolare, nel quale viene meno ogni certezza, anche la più banale (ho preso una storta: "come farò a fare la spesa?" Ho perso le chiavi:" come entrerò in casa?") e non sempre in questi momenti, per diversi motivi, si riesce a mantenere calma e lucidità.
Ricordo ancora con tenerezza un’altra vicenda, nella quale una simpatica vecchietta aveva spezzato le chiavi nel tentativo di aprire la porta di casa. La ricordo in strada in preda ad un’agitazione notevole: temeva forse, chissà, che i suoi la potessero considerare irrimediabilmente rimbambita, che venisse meno la fiducia del genero nei suoi confronti (viveva in casa con la famiglia della figlia), che non le affidassero più compiti delicati come accudire i bambini o fare la spesa... Mentre mi fu facile risolvere il suo problema con una pinza a becchi lunghi, fu imbarazzante per me dover accettare le diecimila lire (una cifra a quell’epoca!) che la nonnina voleva elargirmi, benedicendomi e raccomandandomi alla Madonna, per compensare la mia prestazione. Per lei quel fatto, sostanzialmente banale, era stato fonte di una vera e propria angoscia.
Ho voluto narrare questi due episodi (che presi nella loro reale entità sono veramente semplici), in quanto ritengo si possa dare un primo soccorso facendo sentire alla vittima, con calma e tranquillità, che in quel momento non è sola e che c’è qualcuno che, forse, può aiutarla a risolvere il suo problema; la condivisione in qualche modo scarica le tensioni e questo, secondo me, al di là dell’esito finale, è già un risultato.