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Norme antisismiche

Archivio > Aprile 2014 > Sicurezza sul lavoro

C.I.P. n. 22 - SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO

Norme antisismiche, disabilità e sicurezza sui luoghi di lavoro
In "L’integrazione scolastica e sociale", APRILE 2012, pp. 125-140, Erikson editrice
Angelo D. Marra
Dottore di Ricerca in Diritto Civile, Università Mediterranea di Reggio Calabria.


Sommario

In questo articolo si fornisce una panoramica sulle norme antisismiche e su quelle relative alla sicurezza sul lavoro, con particolare riferimento alle persone con disabilità. Queste norme sono rilette anche alla luce dei principi dell’Accessibilità e della Progettazione Universale introdotti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Si cerca inoltre di valutare l’impatto sulla materia dell’articolo 11 della Convenzione, specificamente dedicato al rischio umanitario e alle catastrofi naturali. L’analisi è condotta adottando come chiave di lettura il Modello Sociale della Disabilità per evidenziare quei fattori che, a causa della presenza di strutture organizzative e sociali escludenti, marginalizzano le persone con disabilità.


Introduzione

Poiché la tematica affrontata in questo contributo potrebbe forse apparire troppa specifica e peculiare, occorre esplicitare in apertura alcune delle ragioni, non tutte scientifiche, che hanno spinto a trattare il tema della sicurezza e a riflettere su quanto può avvenire in caso di eventi sismici, se il soggetto coinvolto è una persona con disabilità.
Una forte spinta a domandarsi cosa accade alle persone con disabilità in caso di terremoto viene senz’altro, da un lato, dal contesto ambientale - chi scrive abita in una delle zone d’Italia a più elevato rischio sismico – e, dall’altro, dalla cronaca che, quando per la prima volta si è pensato di avvicinarsi al tema specifico, induceva a effettuare amare riflessioni dopo il terremoto aquilano e lo tsunami del dicembre 2006. A questi tristi eventi si aggiungevano in seguito la catastrofe di Haiti e, da ultimo, il terremoto che in Giappone ha gravemente danneggiato la centrale nucleare di Fukushima. Inoltre in quest’arco di tempo (segnatamente nel 2008) si compiva il centenario del terremoto, con conseguente maremoto, che sconvolse le zone di Reggio e Messina il
28 dicembre del 1908.
Gli eventi menzionati sollecitavano a riflettere sulle modalità per garantire la sicurezza delle persone con disabilità in caso di sisma, considerato anche il fatto che chi scrive è una persona con disabilità in sedia a rotelle. Una prima riflessione di tipo empirico in merito alle possibilità che una persona con disabilità ha di sopravvivere a un evento catastrofico, pur senza alcuna pretesa di esaustività, porta comunque a formulare conclusioni negative poiché l’esame di numerose esperienze ci porta a ritenere che, invece di adottare modelli organizzativi di ragionevole riduzione del rischio, nel caso delle persone con disabilità si preferisca semplicemente esentare il soggetto dalle esercitazioni, ponendo in secondo piano la valutazione delle esigenze di sicurezza.
Da studente liceale chi scrive non ha mai fatto un’esercitazione in tutti e cinque gli anni di scuola; altre persone con disabilità, quando i compagni di scuola erano impegnati a svolgere l’esercitazione, erano invitate a restare sedute (teoricamente in loro "soccorso" avrebbe dovuto venire un assistente che, però, risultava sistematicamente assente…). Questi episodi, anche se non pretendono di avere valenza scientifica, sono però indice di una diffusa trascuratezza che certamente non giova alla riduzione del rischio.
Inoltre - e su versante diametralmente opposto - generiche ragioni di sicurezza spesso inducono alcuni docenti a esentare gli alunni con disabilità dallo svolgimento delle attività durante le ore di Educazione Fisica, tant’è che l’art. 30 della Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità stigmatizza questo comportamento laddove, riferendosi alle attività sportive, si preoccupa di affermare che anche le persone con disabilità devono partecipare alle medesime durante le ore scolastiche.
Il risultato di questo atteggiamento è che la sicurezza è ignorata o messa in secondo piano quando si tratta di far partecipare le persone con disabilità ad attività di prevenzione e viene, invece, utilizzata in maniera pretestuosa - e sostanzialmente in virtù di preconcetti - come ragione per escludere le persone con disabilità dallo svolgimento delle attività curricolari. Sicurezza a senso unico, dunque, e mai concretamente a favore delle persone con disabilità.
A questo si aggiunga che, dal punto di vista legale, la sicurezza è a volte posta quale limite alle istanze di accessibilità provenienti da persone disabili; tuttavia appare lecito dubitare della correttezza dell’antitesi tra accessibilità e sicurezza che è sottesa dalla ricostruzione in questione.
Infine alla situazione delle persone con disabilità, nell’eventualità di rischio umanitario o catastrofi naturali, è dedicato uno specifico articolo della Convenzione delle Nazioni Unite del 2006. Dunque è opportuno domandarsi come mai un tema del genere sia stato inserito nel Trattato e se questo possa essere utile e in che modo al nostro lavoro, il quale vuole proporre una rilettura del tema della sicurezza che sia funzionale all’inclusione sociale piuttosto che ragione di discriminazione e marginalizzazione delle persone disabili.
Questo interrogativo ne porta con sé uno ulteriore: si scopre qualcosa di nuovo - tanto dal punto di vista organizzativo quanto sul piano del diritto – se, proprio alla luce della Convenzione delle Nazioni Unite, si utilizza come chiave di lettura il modello sociale della disabilità? Esso parte dall’assunto che sono le barriere a rendere alcune persone disabili: in altre parole, utilizzando il modello sociale, si smascherano i fattori di esclusione e si addebita all’ambiente e al contesto un’emarginazione che, di fatto, viene fatta ricadere sulle stesse persone disabili, accusate a torto di rappresentare esse stesse un attentato alla sicurezza e un costante pericolo per gli altri individui. Al contrario occorre evidenziare che un ambiente inaccessibile rende il soggetto disabile dipendente e bisognoso di aiuto; il modello sociale può rivelarsi uno strumento che consente di verificare quando una persona con disabilità risulta penalizzata anche in materia di sicurezza sul lavoro.

Le norme antisismiche in Italia

La prevenzione sismica si può realizzare attraverso l’utilizzo di due strumenti: la classificazione sismica e la normativa antisismica. La normativa antisismica riguarda i criteri che devono essere rispettati per costruire una struttura in modo da ridurre la probabilità che riporti un danno, in seguito al verificarsi di un evento sismico.
Dal 1908, anno del devastante terremoto di Messina e Reggio Calabria, fino al 1974, in Italia i comuni sono stati classificati come sismici e sottoposti a norme restrittive per le costruzioni solo dopo essere stati fortemente danneggiati dai terremoti. Poiché la classificazione comportava applicazioni di norme restrittive nella costruzione, in alcuni casi, paradossalmente, si è assistito a una declassificazione su richiesta degli stessi territori colpiti. Con la legge n. 64/1974 si stabilì che la classificazione sismica dovesse essere realizzata sulla base di comprovate motivazioni tecnico-scientifiche, attraverso l’emanazione di decreti del Ministro per i Lavori Pubblici. Nel 1981 venne adottata la proposta di riclassificazione del territorio nazionale in tre categorie sismiche predisposta dal CNR.
Con appositi decreti ministeriali, tra il 1981 e il 1984, il 45% del territorio nazionale risultava classificato ed era obbligatorio il rispetto di specifiche norme per le costruzioni. Metà del Paese, tuttavia, continuava a non essere soggetta a questo obbligo. Dopo il terremoto del 2002 in Puglia e Molise veniva emanata l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274/2003, che riclassificava l’intero territorio nazionale suddividendolo in quattro zone caratterizzate da diversa pericolosità, eliminando le zone non classificate. Perciò oggi nessuna area del nostro Paese può ritenersi non interessata alla prevenzione del rischio sismico.
Il provvedimento detta i principi generali sulla base dei quali le Regioni, a cui lo Stato ha delegato l’adozione della classificazione sismica del territorio (cfr. DL n. 112/1998 e DPR 380/2001), hanno compilato l’elenco dei comuni con la relativa attribuzione a una delle quattro zone, a pericolosità decrescente, nelle quali è stato riclassificato il territorio nazionale.
Il 14 gennaio 2008 è stato emanato il Decreto Ministeriale che ha approvato le nuove Norme Tecniche per le costruzioni la cui applicazione è diventata obbligatoria dal 1° luglio 2009. Per il dettaglio e significato delle zonazioni di ciascuna Regione, si deve fare riferimento alle disposizioni normative regionali. Le attuali Norme Tecniche per le Costruzioni, infatti, hanno modificato il ruolo che la classificazione sismica aveva ai fini progettuali: per ciascuna zona – e, di conseguenza, territorio comunale – precedentemente veniva fornito un valore di accelerazione di picco e, quindi, di spettro di risposta elastico da utilizzare per il calcolo delle azioni sismiche (
Cfr. lt www.protezionecivile.it).
Dal 1° luglio 2009, con l’entrata in vigore delle Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008, per ogni costruzione ci si deve riferire a un’accelerazione di riferimento "propria", individuata sulla base delle coordinate geografiche dell’area di progetto e in funzione della vita nominale dell’opera. Questo valore è definito per ogni punto del territorio nazionale indipendentemente dai confini amministrativi comunali. La classificazione sismica (zona sismica di appartenenza del comune) rimane utile solo per la gestione della pianificazione e per il controllo del territorio da parte degli enti preposti (Regione, Genio civile, ecc.).
La normativa antisismica definisce i criteri per costruire una struttura in modo da ridurre la probabilità che essa riporti danni in seguito al verificarsi di un evento sismico. È chiaro che il presente lavoro non intende esprimere valutazioni sugli aspetti tecnico-costruttivi (né, invero, se ne avrebbero le competenze). Si ritiene, invece, opportuno iniziare una riflessione sulla condizione delle persone con disabilità rispetto al tema della prevenzione (o riduzione) del rischio sismico e, più in generale, sulla sicurezza e l’inclusione delle persone con disabilità. È dunque necessario, per avviare la riflessione sul rapporto tra disabilità e prevenzione del rischio, inquadrare correttamente il primo dei due termini della relazione che si intende indagare, seppur con i limiti imposti al presente lavoro.

I Disability Studies e il Modello Sociale

Il fenomeno della disabilità nelle società moderne è stato variamente ricostruito: la visione tradizionale muoveva dall’assunto che le persone con menomazioni, avendo difficoltà nel compiere semplici attività della vita quotidiana, non fossero in grado di adempiere ai normali ruoli sociali e che pertanto tali soggetti fossero inevitabilmente destinati a essere relegati ai margini della società. Il tipo di svantaggio sociale di consueto associato alla disabilità veniva generalmente qualificato come questione individuale. Secondo questa interpretazione, l’intervento richiesto dal problema doveva necessariamente consistere nella correzione della menomazione individuale ovvero, da un punto di vista giuridico, nel fornire assistenza.
Il Modello Sociale, invece, concentra l’attenzione sui processi e sulle forze sociali che fanno sì che le persone affette da menomazioni evidenti vengano emarginate dalla società, relegate a un ruolo subalterno e non autonomo, escluse dal contesto sociale o da certi suoi ambiti e, per via del processo di esclusione dalla società, vengano rese di fatto disabili. Ne consegue che, mentre la prima ricostruzione è incentrata sull’individuo, sulla diagnosi, sulla severità del deficit, finendo per identificare la persona disabile con un malato e per individuare la risposta a tale condizione nella necessità di provvedere al malato mediante cure mediche, il modello sociale mette a fuoco la relazione individuo-ambiente e il contesto in cui la persona è inserita; identifica quindi le barriere sociali ed economiche e i comportamenti diffusi che portano all’esclusione delle persone disabili, individuando nella rimozione degli ostacoli e della discriminazione la soluzione ai problemi legati alla disabilità.
In particolare, il Social Model of Disability getta luce sugli aspetti anche sociali, economici, politici e culturali della quotidianità della persona disabile e ha il merito di illustrare come le barriere ambientali, i comportamenti sociali e gli atteggiamenti culturali creino "dis-abilità" per le persone affette da menomazioni. Utilizzando il modello sociale è possibile studiare sotto una prospettiva più articolata la natura della disabilità e comprenderla meglio, così da individuarne più distintamente i contorni, giungendo a identificarla come semplice circostanza fattuale. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (2002), approvando la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF), ha adottato un modello bio-psico-sociale in base al quale la disabilità è un fatto sociale, dipendente sia dalle limitazioni funzionali di una persona che dalle condizioni ambientali e sociali.
La disabilità cominciò a essere studiata come questione inerente i diritti della persona nell’ambito dei cosiddetti Disability Studies (
La letteratura straniera sul tema è vasta. Per i riferimenti essenziali si rinvia alla bibliografia). Per la prima volta si iniziò a porre l’accento sotto il profilo scientifico sulla necessità di implementare politiche di inclusione delle persone disabili nella società e a evidenziare l’esigenza di superare le discriminazioni in materia di diritti civili. In numerosi Paesi (Particolarmente nei Paesi di cultura anglosassone. Per un primo tentativo nel nostro Paese, vedi A. D. Marra, Diritto e Disability Studies. Materiali per una nuova ricerca multidisciplinare, Falzea editore Reggio Calabria, 2010. Al di fuori degli studi giuridici v. R. Medeghini, E. Valtellina, Quale disabilità? Culture, modelli e processi di inclusione, FrancoAngeli, 2010), i Disability Studies rappresentano oggi una realtà autonoma e indipendente nel contesto accademico di ricerca. Il carattere fortemente innovativo dei Disability Studies non risiede nell’oggetto, ma nel metodo della ricerca: il peculiare metodo da essi inaugurato è stato definito propriamente come "partecipativo-emancipativo", ossia è caratterizzato dalla partecipazione attiva delle persone disabili alla ricerca stessa e ha come effetto – unitamente all’elaborazione di un risultato nella ricerca – anche il raggiungimento, da parte del soggetto disabile che vi prende parte, di una migliore consapevolezza di sé e di una più completa capacità di autodeterminazione: i Disability Studies, infatti, rendono le persone con disabilità non più mero oggetto di studio ma soggetti attivi.
L’approccio proposto dai Disability Studies ha inciso anche sul piano del diritto positivo, ispirando il quadro internazionale di tutela dei diritti delle persone con disabilità (
R.  Traustadòttir, Disability Studies, the Social Model and Legal Developments, in Arnardóttir O. M., Quinn G., The Un Convention on the Rights of Persons with Disabilities: European and Scandinavian Perspectives, , Martinus Nijhoff Publishers, 2009, 16 ss. Leiden, Boston). La Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità ha recepito il concetto secondo il quale l’essenza della disabilità è insita nelle barriere sociali, stabilendo che la disabilità è il risultato dell’interazione tra le persone con menomazioni e le barriere, ambientali o derivanti dall’atteggiamento altrui, che ne impediscono la piena ed effettiva partecipazione alla società su basi di eguaglianza con gli altri individui.

La Convenzione delle Nazioni Unite del 2006

Il 13 dicembre 2006 le Nazioni Unite hanno adottato la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità, che è stata ratificata dall’Italia con la legge 3 Marzo 2009, n. 18. I limiti imposti a questo lavoro non consentono di analizzare l’intera Convenzione. Si ritiene opportuno evidenziarne i punti salienti e i principali effetti dal punto di vista giuridico e sociale: posto che lo scopo dichiarato del Trattato è promuovere, proteggere e garantire il pieno e uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità (art. 1), va precisato che la Convenzione non si sostituisce agli strumenti di tutela dei diritti umani precedenti, né limita la legislazione nazionale eventualmente più favorevole (art. 4, comma 4). Tra i principi della Convenzione ricordiamo: l’autonomia individuale e la libertà di scelta, l’indipendenza, la non discriminazione, l’effettiva partecipazione, la parità di opportunità e l’accessibilità.
Le definizioni (art. 2), che comprendono la "comunicazione", il "linguaggio", l’"accomodamento ragionevole", la "progettazione universale" e la "discriminazione fondata sulla disabilità",  In particolare, la discriminazione fondata sulla disabilità consistente in qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo e ogni forma di discriminazione. Inoltre, specifica il Trattato, questa può consistere anche nel rifiuto di un accomodamento ragionevole. Sull’argomento vedi, fra l’altro, A. Lawson, Disability and equality law in britain: The role of reasonable adjustment, Oxford, Hart publishers, 2008. individuano concetti ai quali oggi è conferita valenza giuridica (esse non valgono quindi quali elementi di mera impostazione culturale). Queste definizioni testimoniano un cambiamento di prospettiva: si noti, ad esempio, che non si dà la definizione di "barriere architettoniche" poiché non sono queste il punto fondamentale da cui muove la Convenzione, ma si indicano piuttosto modi per includere le persone ed evitare di discriminarle.
Tra gli obblighi generali derivanti dalla Convenzione sono particolarmente significativi ai fini della nostra analisi quelli che impongono di:
adottare ogni misura legislativa, amministrativa o di altra natura idonea ad attuare i diritti riconosciuti nella Convenzione;
adottare ogni misura, anche legislativa, per modificare o abrogare qualsiasi legge, regolamento, consuetudine o pratica vigente che costituisca una discriminazione nei confronti delle persone con disabilità;
valorizzare la protezione e la promozione dei diritti delle persone con disabilità in tutte le politiche;
astenersi da pratiche in contrasto con la Convenzione (ciò deve valere anche per le autorità pubbliche e le istituzioni);
eliminare le discriminazioni basate sulla disabilità da parte di persone, organizzazioni o imprese private. Inoltre, sono centrali nella prospettiva suggerita da questo lavoro l’obbligo di intraprendere e promuovere la ricerca e lo sviluppo, nonché la disponibilità e l’uso di beni, servizi e attrezzature progettati universalmente, secondo la definizione di cui all’articolo 2 della Convenzione, quello di incoraggiare la progettazione universale nell’elaborazione di norme e linee guida e quello di promuovere la formazione di professionisti e di personale che lavora con persone con disabilità per fornire in tal modo assistenza e servizi adeguati.

La Convenzione è rilevante per tre ordini di ragioni. Per i cittadini essa costituisce un richiamo morale e una tavola di valori da conoscere e vivere, uno strumento di controllo del rispetto dei diritti utile alla Società Civile che riconosce ad aspirazioni il rango di diritti umani concreti e invocabili, rappresentando sotto questo punto di vista anche uno strumento pratico per ottenere soddisfazione dei propri diritti. Per chi governa è un valido strumento di orientamento nell’adozione delle politiche e nell’azione legislativa. Inoltre, la Convenzione è un legal instrument in riferimento sia ai diritti umani che allo sviluppo delle comunità. Per gli operatori del diritto è uno strumento fondamentale nell’interpretazione giuridica che reca anche un utile catalogo di diritti (minimi) esigibili. Inoltre è un Trattato legalmente vincolante che risponde più alla logica della rivendicazione dei diritti civili, in un’ottica di partecipazione, non discriminazione e uguaglianza sostanziale, che alla predisposizione di un sistema di assistenza solidaristico. Nelle cause di merito, così come in quelle tese a far dichiarare l’incostituzionalità di una previsione di legge, la Convenzione è ampiamente utilizzata (cfr. Corte Cost. Sent. n. 80 del 2010 o Tribunale di Varese, Decreto di apertura di Amministrazione di Sostegno del 6 ottobre 2009).

La Progettazione Universale

È funzionale al nostro discorso, e particolarmente necessario, approfondire brevemente la nozione di Universal Design (progettazione universale), che si riferisce a uno specifico modo di produrre beni, erogare servizi, o costruire. Progettare in modo conforme allo Universal Design significa:
- partire dall’idea che non esiste un essere umano uguale a un altro;
- ritenere che chi progetta considerare questa diversità insopprimibile;
- tenere conto del fatto che esiste un’utenza ampliata di persone per cui l’uso dei beni e servizi progettati può risultare difficile;
- progettare in modo che l’ambiente, i beni e i servizi siano accessibili a tutti gli individui (persone sane, anziani, soggetti disabili, donne in gravidanza, bambini, stranieri che potrebbero non capire la lingua in cui sono scritti cartelli o segnali, ecc.), in modo da garantire che l’utilizzatore del bene possa goderne comodamente, liberamente, senza necessità di assistenza e in sicurezza.

La Progettazione Universale si basa anche sul concetto intuitivo in base al quale un bene, un servizio o un edificio, qualora sia disegnato in base alle esigenze di coloro che presentano maggiori difficoltà, sarà idoneo, a maggior ragione, a soddisfare le esigenze anche di quella parte della popolazione priva di esigenze speciali: un edificio privo di scale è utilizzabile con maggior comodità da chiunque, sia che si usi una sedia a rotelle sia che non se ne faccia uso. Lo Universal Design fornisce una risposta concreta ed efficace all’esigenza di garantire a tutti l’accessibilità dei beni e dello spazio costruito, in quanto permette di strutturare la disposizione delle aree urbane e di tutti i servizi consentendone una fruizione indistinta sia agli individui che abbiano esigenze particolari sia alle altre persone. La progettazione universale è dunque lo strumento concettuale e operativo in grado di determinare un ambiente più vivibile per tutti. L’idea alla base della progettazione universale sta nell’evitare la ghettizzazione delle comunità portatrici di esigenze specifiche. Oggi la progettazione universale non è solo una filosofia del costruire, ma ha acquisito una forte rilevanza anche sul piano giuridico.
La Convenzione ONU del 2006 individua, infatti, come anticipato, nello Universal Design un preciso concetto giuridico. Secondo il trattato, la progettazione universale indica la progettazione (e realizzazione) di prodotti, ambienti, programmi e servizi utilizzabili da tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza bisogno di adattamenti o di progettazioni specializzate. La progettazione universale non esclude dispositivi di ausilio per particolari gruppi di persone con disabilità ove siano necessari. Dunque, occorre progettare pensando a un’utenza ampliata.
Non si esclude, tuttavia, riconoscendone anzi la necessità, il ricorso a soluzioni ad personam: si tratta del cosiddetto "accomodamento ragionevole". Nel progettare si deve allora far ricorso all’Universal Design e la prospettiva cambia: non più soluzioni adottate ex post per abbattere barriere architettoniche ma progettazione di beni, servizi e spazi accessibili ex ante. Gli edifici non vanno costruiti e poi adattati per essere conformi alle norme previste per le persone disabili: l’accessibilità (per tutti) è il punto di partenza. Cambia anche il linguaggio normativo: il focus non è sulla barriera architettonica ma sul suo contrario, l’accessibilità.

La sicurezza sul lavoro in Italia

Il tema della sicurezza sul lavoro è in continua evoluzione. In questa sede non si può fornire un’analisi dettagliata della normativa in vigore. Tuttavia, non si può tacere che l’articolato sistema che il decreto legislativo n. 81 del 2008 - con le modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 106 del 2009 – ha inteso razionalizzare prevede numerose misure di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Tra quelle generali, oltre al Documento di Valutazione dei Rischi, sono particolarmente significative per quel che qui interessa:
- la programmazione della prevenzione, mirata a un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell’azienda, nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro (ciò induce a valorizzare gli elementi ambientali e contestuali, eliminando "a monte" i fattori che rendono alcune persone disabili e, perciò, maggiormente a rischio in caso di emergenza);
- il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e di produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo (ciò consente di implementare uno dei principi cardine dello Universal Design, confermandone l’utilità anche rispetto alla sicurezza sul lavoro);
- la riduzione dei rischi alla fonte (questo significa anche eliminare le barriere architettoniche e predisporre un ambiente più accessibile e fruibile, privilegiando così la sicurezza degli spazi);
- la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale (ciò significa concepire la sicurezza come un processo e considerare questo processo nel modo più inclusivo possibile, sicché potrebbe essere inutile il ricorso a soluzioni individualizzate per il lavoratore disabile; d’altronde, la sicurezza dovrebbe essere tale per tutti, senza che sia necessaria una modalità specifica per i soggetti disabili dal momento che, se il processo di sicurezza è pensato per tutti, dovrebbe comprendere anche le persone disabili);
- l’informazione e la formazione adeguate per lavoratori, dirigenti e preposti, che devono essere erogate in modo che tutti possano trarne giovamento (l’uso di scrittura Braille, il ricorso ai sottotitoli per i materiali audiovisivi e, in genere, un modo semplice e diretto di veicolare le informazioni semplice e diretto sono esempi pratici di ciò che può rendere possibile una fruizione allargata delle informazioni);
- l’uso di segnali di avvertimento e di sicurezza che devono funzionare tenendo conto anche delle possibili difficoltà di percezione; inoltre, segnali a caratteri grandi e ben contrastati rispetto allo sfondo, come pure quelli sonori o luminosi, possono essere sfruttati da tutti e costituire un vantaggio per chiunque, a prescindere dalla presenza di eventuali deficit.

Sicurezza sul lavoro e Persone con disabilità

Le prime norme dedicate in modo specifico alla sicurezza sul lavoro delle persone con disabilità sono successive al Dlgs. 626/1994. Infatti il DM 10 marzo 1998 riguarda i criteri generali (di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro) e l’allegato VIII, al punto 8.3, esamina l’assistenza delle persone disabili in caso di incendio; è specificato che vanno individuate le necessità specifiche dei lavoratori con disabilità per i casi di emergenza ma bisogna tener conto anche della circostanza che, durante le emergenze, possono essere presenti sul luogo persone con disabilità o altri individui potenzialmente a rischio quali anziani, bambini e, in genere, persone con mobilità ridotta, anche estranei all’insieme dei lavoratori.
L’allegato continua prevedendo che, se sono presenti barriere architettoniche, lavoratori fisicamente idonei e opportunamente addestrati devono provvedere all’evacuazione dei colleghi con disabilità. Si deve ritenere che questo provvedimento, sia pure emanato sotto la vigenza del Dlgs. 626/94, sia ancora in vigore, così come tutti gli altri provvedimenti relativi alla sicurezza sul lavoro delle persone con disabilità, pur antecedenti al Dlgs. 81/2009.
Infatti il decreto legislativo n. 81 abroga la normativa precedente del Dlgs. 626 nella misura in cui questa non è compatibile con la nuova disciplina e, non essendo intervenuta alcuna novità rispetto al decreto ministeriale di cui sopra e alla circolare 4/2002 alla quale accenneremo tra breve, pare opportuno ritenere valide le regole di dettaglio pur antecedenti al 2008; diversamente si creerebbe un vuoto regolamentare difficilmente colmabile.
Il DM 1998 stabilisce le procedure specifiche per le persone con deficit visivo e uditivo. Inoltre precisa che le persone disabili possono utilizzare un ascensore solo se questo è predisposto per l’evacuazione ovvero se è un ascensore antincendio. La disposizione continua affermando che tale impiego deve avvenire esclusivamente sotto il controllo di personale addestrato per le procedure di evacuazione. Senza voler leggere nella disposizione in esame il sottinteso che le persone disabili vadano comunque assistite in caso di emergenza, ciò evidenzia, ove ve ne fosse bisogno, l’assoluta necessità di far partecipare le persone con disabilità agli eventi formativi che riguardano procedure di emergenza, anche al fine di metterle nelle condizioni di utilizzare autonomamente gli impianti in questione.
Il DM del 1998 presenta, però, il limite di essere sostanzialmente rivolto a individui con deficit motorio o, al massimo, sensoriale. Nulla si dice a proposito degli individui con disabilità intellettiva e/o cognitiva, ovvero dei soggetti che presentano dislessia, discalculia o altri disturbi specifici dell’apprendimento. Inoltre l’articolato, pur pregevole per alcuni profili, vede i lavoratori in questione come soggetti passivi del processo di promozione della sicurezza.
La circolare 4/2002 fornisce delle linee guida per la valutazione della sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro in cui siano presenti persone disabili. Questo documento, che ha il pregio di essere stato stilato dal Ministero dell’Interno con la collaborazione della Consulta nazionale delle persone disabili e delle loro famiglie, ha lo scopo di prevedere il coinvolgimento degli interessati nelle diverse fasi del processo di promozione e garanzia della sicurezza, considerare le difficoltà specifiche presenti sul luogo di lavoro e, quindi, fare emergere le barriere ambientali o di altra natura che rendono il luogo di lavoro non accessibile e meno sicuro, giungendo infine a definire standard adeguati di sicurezza per tutti i lavoratori, in modo che i lavoratori con disabilità o a maggiore rischio non risultino discriminati nei confronti degli altri colleghi.
Infine la stessa circolare ha lo scopo di impedire che ai lavoratori con disabilità siano destinati piani di sicurezza speciali rispetto a quelli previsti per gli altri lavoratori, inserendo la valutazione delle specificità della disabilità all’interno del piano organico per la sicurezza. Ciò costituisce un’attuazione concreta del principio del mainstreaming, che prevede che la disabilità debba essere presa in considerazione come fenomeno umano all’interno delle politiche ordinarie e non con procedure speciali.
 Cfr art. 4 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti della persone con disabilità, lettera C.
È evidente che è necessario evitare che la persona preposta al soccorso del collega con disabilità ne diventi il protettore tenendo atteggiamenti di tipo paternalistico; difatti le persone con disabilità, sia pure in considerazione del proprio deficit, non sono sempre e comunque incapaci di compiere le proprie scelte: anziché affiancare al lavoratore con disabilità un altro soggetto, il primo passo da compiere già nell’elaborazione del piano per la sicurezza, oggi confluito nel piano di valutazione dei rischi di cui al Dlgs, 89/2009, consiste proprio nell’individuazione delle fonti di pericolo. In particolare bisognerà individuare e rimuovere quegli ostacoli strutturali che determinano la dipendenza delle persone con disabilità e rendono l’ambiente poco fruibile e sicuro per tutti. In quest’ottica assume una particolare valenza la logica della progettazione universale di cui si è già scritto sopra. In ogni caso solo ove ve ne sia necessità, come recita la Convenzione ONU del 2006, sarà necessario, anche al fine di garantire opportunamente la sicurezza, predisporre adattamenti ragionevoli. In tal senso un piano per la sicurezza realmente inclusivo deve prevedere, unitamente alla massima accessibilità possibile, tutti gli accorgimenti pratici e organizzativi che possano rimuovere eventuali difficoltà individuali; in virtù della Convenzione articolare un piano in tal modo oggi è senz’altro doveroso e non più soltanto l’espressione di una buona prassi.
Al di là degli aspetti strutturali, pure indicati dalla circolare 4/2002, è evidente che un aspetto importantissimo è costituito dai profili organizzativi e gestionali della situazione di emergenza. A tale riguardo va ribadito che i lavoratori con disabilità devono essere messi nella condizione di partecipare ai corsi sulla sicurezza, alle esercitazioni da cui non devono essere esentati e possono, salvo casi particolari, essere soggetti attivi del processo provvedendo sia alla propria sicurezza che a quella altrui, al pari degli altri lavoratori.
Se questo è il quadro, appare in certa misura deludente la previsione di cui all’art. 63 del DL 81/2008, che stabilisce che i luoghi di lavoro devono essere strutturati tenendo conto, se del caso, dei lavoratori disabili. In particolare le parole "se del caso" risultano del tutto dissonanti con una progettazione della sicurezza veramente inclusiva e generale. L’inciso in questione, se preso alla lettera, rischia di negare alla radice l’approccio preventivo ai temi della accessibilità e della sicurezza, suggerendo soluzioni episodiche e quasi forzate dalla presenza di lavoratori con disabilità qui e ora nel contesto lavorativo. Una tale ricostruzione è del tutto incompatibile con l’approccio oggi risultante dall’entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite del 2006 la quale, in virtù di un cambiamento di prospettiva a livello normativo, ma anche culturale, ha chiarito che le soluzioni per l’inclusione delle persone disabili non sono solamente destinate a queste ultime ma sono rivolte a tutti.

Il lavoratore con disabilità nella Convenzione ONU del 2006

Il trattato delle Nazioni Unite presenta un articolo dedicato al lavoro e all’occupazione delle persone con disabilità (art. 27). In esso è riconosciuto il diritto al lavoro delle persone con disabilità sulla base delle pari opportunità con gli altri, in particolare il diritto di mantenersi attraverso un lavoro scelto e accettato liberamente in un mercato del lavoro libero e aperto che favorisce l’inclusione e l’accessibilità. Il diritto al lavoro va garantito prendendo appropriate iniziative che ne favoriscano concretamente l’esercizio. Per quel che qui interessa, l’art. 27 assume rilievo perché prevede l’adozione di misure legislative o di altra natura che siano efficaci al fine di proibire la discriminazione fondata sulla disabilità con riguardo a tutte le questioni collegate al rapporto di lavoro, incluse le condizioni di sicurezza e igiene sul lavoro. Inoltre la lettera b) dell’articolo in questione evidenzia il fine di proteggere i lavoratori garantendone, oltre all’uguaglianza delle opportunità, anche condizioni di lavoro siano sicure e salubri.
Queste indicazioni, che non sono le uniche contenute nella norma internazionale e tuttavia si riferiscono all’oggetto specifico di questo lavoro, assumono particolare importanza perché sanciscono che anche i lavoratori con disabilità hanno diritto a prestare attività lavorativa in un ambiente sicuro; esse inoltre implicano che la garanzia della sicurezza per le persone con disabilità non deve limitarne le opportunità di realizzazione personale né essere fonte di discriminazione. Infine è evidente, proprio in virtù di questa disposizione internazionale, che un ambiente di lavoro più sicuro si realizza attraverso un’organizzazione del lavoro veramente inclusiva unitamente al rispetto del diritto all’accessibilità.

Accessibilità dei luoghi di lavoro

Per quel che riguarda l’accessibilità dei luoghi di lavoro valgono le norme di carattere generale contenute nel T.U. dell’Edilizia (D.P.R. 380 del 2001) e la disciplina contenuta nel DPR 503 del 1996, contenente le norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli spazi, negli edifici e nei servizi pubblici e nel DM 236 del 1989. Inoltre la legge 68 del 1999 prevede la possibilità di ottenere un rimborso parziale delle spese necessarie all’adeguamento del posto di lavoro alle concrete possibilità lavorative dei lavoratori con disabilità, abbattendo eventuali barriere esistenti. Merita un cenno la direttiva europea 78/2000 sulla discriminazione sul posto di lavoro.
Sulla necessità di leggere la disposizione richiamata alla luce del principio dell’accessibilità e della progettazione universale sanciti oggi dalla Convenzione ONU si è scritto altrove.
 Vedi A.D. Marra, Città e Ambiente per Bambini e Soggetti Deboli in Trattato dei Nuovi danni vol. V a cura di Cendon UTET, 2011 e A. D. Marra voce Barriere Architettoniche in Enciclopedia del Diritto Annali IV, Giuffrè 2011 p. 210. Il limite sostanziale delle norme precedenti il trattato si rinviene nella logica ad esse sottesa: esse, infatti, si muovono ancora nella prospettiva di abbattere delle barriere architettoniche preesistenti. Un’impostazione diversa anima, invece, la Convenzione del 2006 che, al fine di garantire l’inclusione, la non discriminazione, le pari opportunità e l’economicità delle azioni, impone oggi di ripensare il modo di progettare spazi, beni e servizi in modo tale da garantire ex ante, senza cioè porre in essere barriere che poi dovranno essere abbattute, un ambiente accessibile e fruibile da parte di tutti. È evidente che un luogo di lavoro non accessibile, ponendo il lavoratore in condizione di svantaggio rispetto agli altri lavoratori, penalizza quest’ultimo che potrà lamentare una discriminazione. Detta discriminazione può anche consistere nella mancata predisposizione di un accomodamento ragionevole in grado di garantire al lavoratore le medesime opportunità lavorative di cui godono le altre persone.

Le esigenze di sicurezza come limite all’accessibilità?

Dal punto di vista della normativa vigente un’indicazione sul rapporto tra le norme in materia di sicurezza e l’accessibilità potrebbe essere rinvenuta nell’art. 80 del T.U. Edilizia, il quale dispone che l’esecuzione delle opere edilizie tese all’abbattimento delle barriere architettoniche, e più specificamente quelle di cui all’art. 78 T.U., pur non essendo soggette all’autorizzazione di cui all’art. 94 dello stesso decreto legislativo, devono essere realizzate nel rispetto delle norme antisismiche, di prevenzione degli incendi e degli infortuni. In tal modo sembrerebbe che l’accessibilità trovi un limite nelle esigenze di sicurezza. Il problema di questa impostazione sta nella circostanza che, così ragionando, si finirebbe per porre un’inaccettabile antitesi tra l’accessibilità da una parte e la sicurezza dall’altra.
Una visione e un’interpretazione rigide del significato della sicurezza finiscono per costituire un freno all’inclusione nella società delle persone con disabilità, autorizzandone nei fatti la discriminazione. Quest’impostazione non appare condivisibile nella misura in cui essa finisce per funzionare solo come un pretesto per mantenere un’organizzazione degli spazi sostanzialmente escludente (appare fortemente criticabile una pronuncia giudiziale che finisce per negare l’accesso alla propria abitazione a una persona con disabilità, in ragione del fatto che gli accorgimenti necessari a garantirlo avrebbero comportato una riduzione delle dimensioni della rampa di scale
 v. amplius in A. D. Marra, voce Barriere Architettoniche cit. ).
Le esigenze di accessibilità e il diritto di tutti, comprese le persone con disabilità, di accedere agli spazi costruiti non sono in realtà in conflitto e le norme giuridiche non devono porre i valori sottesi a queste esigenze in antitesi con le esigenze di sicurezza, poiché affermare il diritto all’accessibilità significa implicitamente affermare il diritto all’accessibilità in sicurezza; deve essere evitato in ogni modo di utilizzare le esigenze di sicurezza "come scusa per non assumere o continuare a non assumere persone disabili",
 Così letteralmente in FACTS, Agenzia Europea per la sicurezza sul lavoro, n. 53 p. 1, reperibile sul sito http://www.agency.osha .eu.int ovvero perpetuare soluzioni costruttive non accessibili anche alle persone con disabilità o comunque escludenti.
Proprio con riferimento alla disciplina contenuta nel Testo Unico la sentenza 4 luglio 2008, n. 251, della Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione prospettata, ritenendo che l’intervento richiesto dal giudice a quo avrebbe avuto carattere manipolativo. La questione era sorta con riferimento a una sala cinematografica organizzata in modo tale da "ghettizzare" i clienti disabili in spazi appositi. Secondo il Giudice delle Leggi innalzare il livello della tutela nel modo richiesto dal giudice a quo confliggerebbe con le esigenze di sicurezza. In proposito può tuttavia osservarsi che l’oggetto e il percorso argomentativo della pronuncia della Corte non prendono in considerazione gli argomenti enucleati dal giudice a quo e si discostano in maniera significativa dalla richiesta formulata da questi: il giudice remittente aveva osservato che va garantito anche ai soggetti disabili un livello di prestazione che abbia qualità uguale o similare rispetto alla qualità garantita agli altri cittadini. L’argomentazione del giudice a quo riguarda dunque il livello di qualità della prestazione erogata e non afferma, invece, quanto la Corte adombra, ossia che al fine di raggiungere l’uguaglianza della prestazione sia necessario o possibile ignorare le norme in materia di sicurezza.
L’argomentazione della Corte appare invero sorprendente e articolata con scarsa consequenzialità, poiché instaura un inusitato automatismo fra la possibilità di beneficiare di un normale livello di godibilità di uno spettacolo cinematografico e la conseguenza della violazione di norme di sicurezza (operando di conseguenza una valutazione di bilanciamento fra valori e ritenendo che l’interesse delle persone con disabilità alla gradevole fruizione di uno spettacolo cinematografico debba cedere davanti a quello della sicurezza).
Non si dubita che l’esigenza di garantire la sicurezza vada tutelata quanto quella di garantire l’accessibilità. Tuttavia pare non condivisibile l’opinione secondo cui un ambiente godibile da parte di chiunque con i medesimi livelli di qualità delle prestazioni si risolva necessariamente in un ambiente insicuro nel momento in cui sono coinvolte persone con disabilità. Sia consentito allora suggerire che, posto che non si intende ignorare le esigenze di sicurezza degli edifici, sarebbe auspicabile che la Corte riconoscesse l’indefettibilità del diritto all’accessibilità, con il solo limite di quelle che in Inghilterra sono le health and safety reasons, che, però, non devono essere invocate in modo strumentale e quasi pretestuoso finendo per "far salve" soluzioni escludenti e in contrasto con i principi della progettazione universale. La Sentenza del 2008 pare avere un sapore "interlocutorio", in attesa di fioriture ad essa successive che possono rintracciarsi nel percorso argomentativo della sentenza della Corte costituzionale n. 80/2010.

La disabilità e le catastrofi naturali nella Convenzione del 2006

La Convenzione delle Nazioni Unite all’art. 11 dispone, a proposito delle situazioni di rischio o emergenze umanitarie, che:

Gli Stati Parte prenderanno, in accordo con i loro obblighi derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e le norme internazionali sui diritti umani, tutte le misure necessarie per assicurare la protezione e la sicurezza delle persone con disabilità in situazioni di rischio, includendo i conflitti armati, le crisi umanitarie e le catastrofi naturali.

Il profilo che ci interessa in questa sede è quello relativo alle catastrofi naturali. La disposizione richiama prima di tutto l’attenzione sulla particolare condizione di rischio che vivono le persone con disabilità e sottolinea l’alta priorità che deve avere il salvataggio delle persone con disabilità nell’eventualità di un’emergenza. L’affermazione, ancorché possa sembrare banale, si è resa necessaria in considerazione del fatto che le persone disabili sono quelle che più patiscono le conseguenze negative di una situazione di emergenza proprio in ragione dell’esclusione già da queste vissuta in situazioni ordinarie, situazioni che senz’altro peggiorano in circostanze eccezionali, tant’è vero che l’attenzione alla concreta applicazione dell’art. 11 della Convenzione è al momento una delle key issues presentate nel sito U.N. Enable (che è il principale mezzo di comunicazione attraverso cui le Nazioni Unite diffondono le informazioni relative al nuovo Trattato e ne promuovono una corretta applicazione). Sullo stesso sito è reperibile tra le altre informazioni un utile Toolkit, elaborato a seguito del terremoto che ha colpito Haiti, che si preoccupa di veicolare i suggerimenti per la ricostruzione post-sismica ,così da dare attuazione concreta all’art. 11.
Cfr. il sito UN Enable all’indirizzo lt http://www.un.org/disabilities/
È stato riconosciuto che "il rischio di discriminazione delle persone con disabilità nelle situazioni di emergenza è più forte e si pone, pertanto, l’esigenza di predisporre meccanismi sia preventivi sia operativi per il momento del soccorso, al fine di garantire opportuna protezione".
 Risoluzione del Parlamento Europeo del 4 settembre 2007 sulle catastrofi naturali, cit. in AA.VV., La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, Roma, Aracne, 2010.
Particolarmente delicata risulta la fase della gestione dell’emergenza e dell’evacuazione delle persone con disabilità. Oltre le considerazioni già svolte in ordine alla necessità di predisporre procedure di addestramento che mettano in condizione anche le persone con disabilità di gestire l’emergenza, giova in questa sede richiamare un documento elaborato dal Ministero dell’Interno, dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile che riguarda proprio il soccorso delle persone disabili e fornisce informazioni concrete ai soccorritori per la gestione di questa situazione.
 Reperibile sul sito www.vigilidelfuoco.it. Inoltre merita un cenno la decisione 2007/779 CE che istituisce un meccanismo comunitario di protezione civile.
La Consensus Conference, tenutasi a Verona l’8 e 9 novembre 2007, ha elaborato la Carta di Verona sul salvataggio delle persone con disabilità in caso di disastri. In questo documento, che non ha valore vincolante, si afferma che si avverte la necessità di garantire una maggiore comprensione dei bisogni delle persone con disabilità e di tutte le varie forme di disabilità in situazioni di rischio; si avverte inoltre la necessità di una maggiore preparazione all’intervento, garantendo che tutti i bisogni specifici delle persone con disabilità vengano presi in considerazione.
Lo scopo della Carta è delineare le basi per articolare una visione comune e universale, nei confronti di tutti gli aspetti che sono necessari per garantire ogni aspetto della sicurezza delle persone con disabilità in tutte le situazioni di rischio, come conflitti armati, emergenze umanitarie, disastri naturali e/o causati dall’uomo. Non è questa la sede per effettuare un’analisi dell’intero documento, che fornisce importanti indicazioni: basti sottolineare che le persone con disabilità e le loro organizzazioni sono riconosciute quali inestimabile fonte di informazioni e nozioni sui loro bisogni specifici, soprattutto in situazioni di vulnerabilità, e che la sicurezza delle persone con disabilità - che va garantita ispirandosi ai principi della Convenzione delle Nazioni Unite - è responsabilità delle persone con disabilità, degli individui, delle istituzioni pubbliche, della società civile, delle parti sociali, delle organizzazioni non governative, delle istituzioni educative e della Protezione Civile.
È evidente che, in caso di disastri naturali, una risposta rispettosa dello spirito della Convenzione ONU e dell’art. 11 deve comportare che i punti di soccorso e le strutture di accoglienza predisposte dopo la calamità siano accessibili per le persone con disabilità, evitando che la situazione di emergenza si traduca in un’occasione di segregazione e discriminazione. In particolare va rispettata la dignità delle persone con disabilità, alle quali va riconosciuta la libertà di compiere le proprie scelte nella stessa misura in cui è riconosciuta agli altri individui.
Particolare cura verrà posta a tutelare in questi eventi i bambini, le donne e gli anziani con disabilità, in quanto soggetti particolarmente vulnerabili. Anche l’assistenza di natura sanitaria e psicologica deve tenere conto dei particolari bisogni delle persone disabili. Le strutture e i servizi posti in essere per la gestione dell’emergenza in caso di evento sismico devono essere, così come indicato dall’art. 4 della Convenzione, progettati universalmente e la stessa cosa dovrebbe avvenire nel momento in cui si deve pianificare e realizzare la ricostruzione delle zone colpite dal disastro, in modo tale da realizzare uno spazio costruito che garantisca a tutti le medesime opportunità di partecipazione alla vita sociale e di realizzazione personale.

Conclusioni

Le considerazioni fin qui svolte consentono di affermare che le esigenze di sicurezza non sono - e non devono essere utilizzate come se fossero - un limite all’accessibilità; piuttosto l’accessibilità ispirata alla progettazione universale è un prerequisito della sicurezza per tutti. Infatti uno spazio o un servizio accessibili così come richiede la Convenzione ONU sono utilizzabili da parte di tutti, persone disabili e non disabili, garantendo nel contempo la massima sicurezza e le pari opportunità.
Inoltre non è mai la persona con disabilità a rappresentare un rischio per la sicurezza collettiva sui luoghi di lavoro e altrove. Fattore di rischio è piuttosto l’ambiente se questo, per come è progettato oppure organizzato, rende le persone con disabilità non autonome e quindi dipendenti dagli altri. Gli sforzi devono tendere a rimuovere le barriere che creano questa situazione e non è una soluzione impedire ad alcuni soggetti di partecipare in determinati contesti; la sicurezza non va garantita attraverso soluzioni che escludono ma creando una organizzazione che sia inclusiva e accessibile "a monte".
Per questa ragione, con specifico riguardo ai luoghi di lavoro e la sicurezza, le soluzioni per garantire un’opportuna gestione delle emergenze non devono essere ricercate se e solo se esiste un lavoratore con disabilità. Piuttosto va predisposto un ambiente accessibile e sicuro in cui anche le persone con disabilità, ove siano presenti, possano, nell’ipotesi in cui ciò sia necessario, gestire l’emergenza in maniera efficace. È evidente che una sicurezza così intesa prescinde da soluzioni ad personam che - salvo casi sostanzialmente eccezionali - dovrebbero essere sostituite da soluzioni generali ma inclusive, capaci, per citare il dlg. n. 81 del 2008, di "eliminare i rischi alla fonte".
Quanto sopra implica che i lavoratori con disabilità non dovrebbero essere inseriti nel contesto lavorativo come se fossero un carico per gli altri colleghi e - salvo casi estremi da concordare in ogni caso con il lavoratore interessato - la persona dovrebbe essere messa nella condizione di autogestirsi durante l’emergenza, che è un altro modo per dire che va garantita l’accessibilità del luogo di lavoro.
Quel che è necessario è, anche qui come in altri contesti, un cambiamento di prospettiva culturale prima e forse più che organizzativa. Bisogna riconoscere che le persone con disabilità possono e devono essere soggetti attivi: in una parola, a condizione che si rimuovano effettivamente le barriere e gli ostacoli che lo impediscono, esse possono essere responsabili della propria e dell’altrui sicurezza, come qualsiasi altro individuo.


This paper provides an overview of the Seismic Safety Regulations and of the laws concerning Health and Safety at workplace, with particular reference to people with disabilities. These rules are reinterpreted in the light of the principles of Accessibility and Universal Design introduced by the United Nations Convention on the Rights of Persons with Disabilities. Finally the author tries to assess the impact on the matter of Article 11 of the Convention which is dedicated to humanitarian risk and natural disasters. The analysis is conducted using the Social Model of Disability to highlight those factors which, due to the presence of organizational and social structures which exclude, marginalize people with disabilities.


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documenti
Carta di Verona sul salvataggio delle persone con disabilità in caso di disastri, 2007.
Decisione 2007/779 CE su un meccanismo comunitario di Protezione Civile.
FACTS, Agenzia Europea per la sicurezza sul lavoro, n. 53.
Il soccorso alle persone disabili: indicazioni per la gestione dell’emergenza, (Dip. Vigili del Fuoco) 2003.
Risoluzione del Parlamento Europeo del 4 settembre 2007 sulle catastrofi naturali.
Toolkit for Long Term Recovery "Haiti: Reconstruction for All" 2010.



 
 
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